Nella sua vita per ogni strada senza sfondo, lì dove la speranza cedeva alla rassegnazione, si apriva sempre un nuovo scenario e nasceva un nuovo amore ed una nuova storia.
Ora voleva dar ossigeno e tempo al sogno, perchè in quel luogo, a quell’ora, in quella stagione ed alla sua età sentiva di aver bisogno più che mai di sogno e di speranza.
Si sentiva giunto, nelle consonanti e molteplici dimensioni del suo vagabondaggio, in quel luogo prossimo allo svelamento ed alla comprensione degli arcani e temeva d’oltrepassare la culla di Betlemme senza accorgersene o, più amaramente, di non trovare nessuno. Perciò indugiava nel limbo dell’attesa, timoroso, rallentando il passo, non ancora pronto, diffidente, sperando in un incontro di cui anche sospettava l’inconsistenza.
Non che sospettasse di Dio, non che ipotizzasse un Dio bugiardo e cinico, o la religione un abbaglio della coscienza, la proiezione di un bisogno, come tanti sostenevano.
Non era questa la sua paura:
Luca temeva d’essere DISTRATTO.
Temeva di perdere il treno della sua vita per via di una distrazione, magari perché era occupato a fare il biglietto per mettersi in regola, o a controllare l’orario, il binario.
E poiché era sera, temeva anche la colpa dell’indegnità, perché ogni sera chiudeva il bilancio in rosso con un’inadempienza ed un’omissione.
Per questo tergiversava ricapitolando tra sé il suo pensiero, il suo progetto, le attese, le responsabilità, le incognite, le speranze in quel silenzio che andava ora cercando con più adesione quale luogo più idoneo per la sua strana ed astratta preghiera muta:
“FIAT”
La preghiera perfetta.
Fine del giorno, fine dell’estate, fine della giovinezza… … e una passeggiata al crepuscolo per capire e raccontare con le proprie parole, senza prendere in prestito emozioni e pensieri alla letteratura dell’ovvio, la propria storia.
Sì, questa era la cifra di quell’estate: l’esatta metafora, il premio.
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