tutte le immagini dei quadri, delle sculture ed i testi tratti dai libri dell’artista sono © di Max Loy


..."Il raggio verde è una luce visibile per brevi secondi nelle chiare serate estive, subito dopo il tramonto del sole.

In metafora è qualcos’altro di più significante, una luce interiore che va cercata lì dove ha dimora: nel silenzio.



raccolta di immagini, testi e pensieri di Max Loy ...

e di quant'altro attinente alla sua arte

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..........................Informazioni personali......................... M A X . L O Y

La mia foto
Studio: via Abbi Pazienza 14 – C.A.P. 51100 Pistoia cell. 3389200157 mail - info@maxloy.com

In these paintings of mine there are two different elements: colour and shape, casualty and organization, intuition and recognition. Two different types of music combining melody and a countermelody evoking the marvel of a stereophonic listening.


ACCOMODATI, SEI IL BENVENUTO !

Introduzione alla Sua arte

Esposizione virtuale delle opere di Max Loy.

“E’ così: ogni azione e ancor più manifestamente quelle dettate dal sentimento, affondano le radici in una regione misteriosa dalla quale ogni gesto assume un significato trascendente che è caratteristico della figura dell’uomo: egli trascende se stesso, così le sue azioni sono allegorie, immanenza e trascendenza insieme.

Questo è un mistero grande, l’unico.”

data inizio blog: 8 ottobre 2009


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martedì 10 dicembre 2019

Promozione


La realtà è un enigma.
Anche noi lo siamo: un mistero dentro un mistero.
L’Amore è la chiave.

Questo romanzo dalle vertiginose escursioni emotive, in ultima analisi, vuole essere un rendimento di grazie all'Amore che ha guidato la mia vita, è un ex voto alla memoria su cui ho meditato a lungo.
La mia professione non è quella dello scrittore, sono un pittore e sono abituato a pensare e a esprimermi per immagini e metafore in modo subliminale. Dovendo traslare una visione da uno stato contemplativo concettuale, senza tempo né movimento, in un linguaggio narrativo, ho dovuto forzare alquanto la mia forma mentis obbligandomi all'uso corsivo della scrittura che, per compensazione, si è coinvolta nel dettaglio, straniandosi nei labirintici e concentrici corridoi della trama per fare esperienze che ho registrato come verità di percorso. A chi avesse gradito una centratura più circoscritta del racconto o mi rimproverasse d’aver caricato di soverchie intenzioni parole affacciate a troppe finestre con vista, confesso che effettivamente il narrato mi ha preso la mano, mi ha mostrato la strada insieme alla bellezza, ai pericoli e alla necessità del percorso. Tutto poi è venuto da sé, ed io, affascinato dalla suggestione trascinante della visione, ho desiderato percorrerla dal dentro, metro per metro, sonnambulo in equilibrio tra le regioni di confine e testimone giurato di miracoli: un Esodo in cui l’Amore ha svelato il mio cuore.

Vivere un amore non è facile, raccontare un amore è concesso a pochi: è grazia che scende dall'alto.
Per raccontare un amore è necessario invecchiare, mettere distanza.
Sono passati tredici anni dalla mia prima memoria scritta, poi altri venti e altri anni ancora e le pagine dei quaderni dove tra un groviglio di cancellature sono narrati questi fatti sono ingiallite. Anche nel ricordo sbiadiscono i contrasti e la forza dei colori dei miei quadri. L’accumulo di giorni si perde nell'azzurro delle lontananze, nell'oro dei tramonti, diventa luce diffusa nell'anima.
Quest'ora nostalgica del giorno che volge alla sera di questa mia età matura, sfuma i contorni dell'ovvio come in una foto d'arte. Tutti i capitoli custoditi nel sentimento sono illuminati dall'avvolgente e morbida luce di un meriggio astratto, momento sospeso in cui le palpebre si abbassano e una serena dolcezza invade l’anima. A occhi chiusi, vedo il giallo, l'arancio, il rosso: ciò che il sole ha reso maturo. A occhi socchiusi l'azzurro del cielo e dalla tavolozza di questi colori vedo uscire lei, mia moglie, senza età, volto familiare dell’Amore: socchiude gli occhi al sole, poi si volge e sorride. La scena non muta, è paga della sua perfezione. Il suo segreto è nascosto nel tempo futuro o, forse, disperso nel tempo presente, tra la sabbia che scivola tra le mie dita: lei, ologramma di donna, lei sempre presente, sempre distante.

Rileggo questa storia con un sorriso d’affetto e un vago rimpianto d’aver capito tardi: senza di lei, non avrei avuto forza di respirare profondo, avrei sprecato la Bellezza per disattenzione, ma con lei e per lei ho guardato la vita con meraviglia e il tempo si è fermato in un anticipo d'eternità beata.

Max Loy





Maria




Il sorriso materno della Vergine, riprodotto in tanta parte dell’iconografia mariana, manifesta una pienezza di grazia e di pace che vuole comunicarsi.
Accogliendo nell'Annunciazione l’invito dell’angelo a rallegrarsi, (chàire=rallegrati: Lc 1,28), Maria partecipa per prima alla gioia messianica, già predetta dai profeti per la "figlia di Sion" (cfr. Is 12,6; Sof 3,14-15; Zac 9,8) e la trasmette all'umanità di ogni tempo.
Nella sua intercessione Maria chiede la grazia dell’unità del genere umano, in vista della costruzione della civiltà dell’amore, superando le tendenze alla divisione, le tentazioni della vendetta e dell’odio, e il fascino perverso della violenza.



L’eccellenza unica di Maria nel mondo della grazia e la sua perfezione sono frutti della particolare benevolenza divina che vuole elevare tutti, uomini e donne, alla perfezione morale ed alla santità proprie dei figli adottivi di Dio.
Maria è la "benedetta fra tutte le donne"; tuttavia, della sua sublime dignità nel piano divino partecipa, in qualche modo, ogni donna. Il dono singolare fatto alla Madre del Signore non soltanto testimonia quello che potremmo chiamare il rispetto di Dio per la donna, ma evidenzia, altresì, la considerazione profonda che vi è nei disegni divini per il suo ruolo insostituibile nella storia dell’umanità.


tratto da 
Udienze di San Giovanni Paolo II


Tracce d'autore



 “Quando sono stanco, vuoto e la noia mi opprime…
osservo i miei quadri… Silenzio.
Poi penso a una nuova opera”.
Max Loy

Max Loy nasce a Pistoia, città d’arte, nel cuore della Toscana e subito inizia il suo lungo peregrinare tra il Nord e l’Italia centrale a seguito del padre, ufficiale dell’esercito. A Pistoia ritorna per restare dopo una trentennale assenza. Certo è azzardato ipotizzare che in un pugno di giorni, per recondite vie, egli abbia assorbito linfa da questa terra, l’humus da cui prenderà forma il suo immaginifico mondo d’esteta moderno, saturnino ed inquieto, ma quest’atmosfera urbana, antica e moderna, sembra quasi aver inoculato e protetto in Max qualcosa di molto prezioso: quei valori autoctoni, connaturati da secoli all'ambiente culturale toscano che devono aver determinato, in età matura, la scelta empatica di mettere radici proprio qui, dove egli sembra respirare aria di casa. La Toscana, come terra d’elezione, dove il gusto per la modernità si affianca al compiacimento per la tradizione, sito dove il romanico e il gotico dei suoi storici monumenti si perpetua in mezzo ad una cultura d’avanguardia e dove, nelle campagne circostanti, le antiche arti e i costumi di una civiltà contadina si offrono agli occhi di noi viaggiatori con l’incanto di territori senza tempo, sembrano gli stessi che l’artista evoca nei suoi primi dipinti figurativi. Mere coincidenze, forse, ma quei tratti che caratterizzano la sua curiosità artistica, ricordano, per esempio, quelli dello scultore Marino Marini o del pittore Sigfrido Bartolini, suoi concittadini. Curiosamente, anche la presenza associata di fantasia e controllo, di calcolo e generosità creativa, tipiche della mentalità toscana, potrebbero bene spiegare il tratto caratteriale della personalità di Max e accreditare la stravaganza di un viscerale legame con la cultura della sua terra verso la quale egli simbolicamente ritorna in ogni sua opera d’intensa ispirazione, sognando una terra promessa.
Ho incrociato il suo lavoro “per caso”, facendo uno studio sulla pittura toscana del nostro tempo. Scorrendo in ricerca tra un affascinante panorama di autori, colpita da alcune sue composizioni, l’ho cercato e, a distanza, ho seguito le sue “tracce” d’arte. Indagare il pensiero e l’opera di un artista è sempre impresa ardua e affascinante, un vero e proprio percorso di conoscenza e di esplorazione, tanto del suo processo creativo quanto del suo linguaggio espressivo. Con questa consapevolezza ho cominciato a studiare la versatilità creativa di Max e con essa a conoscere anche l’artista, personalità affabile, curiosa, bizzarra e acuta che ben si racconta, tanto in questa autobiografia quanto nelle stagioni stilistiche che la sua arte annovera. Tra i molteplici linguaggi espressivi cui egli si accosta, la pittura e la scrittura sembrano privilegiati medium di comunicazione. Le atmosfere poetiche e surreali delle sue prime pitture rivelano, nell'elegante sintesi compositiva, una naturale propensione alla narrazione visiva e sensoriale. La padronanza della tecnica - nella singolare trasparenza delle sue scene - e l’insolita scrittura pittorica - fatta di segni e visioni sfumate - hanno focalizzato la mia attenzione sulla resa percettiva ed emozionale delle sue più recenti, astratte composizioni.
Da qui è iniziato a ritroso il viaggio di scoperta nel mondo creativo di Max che ha inevitabilmente intrecciato la mia strada di studiosa alla sua di artista. Ho condiviso con lui i suoi percorsi creativi, determinata a fare sempre nuova esperienza della “misteriosa cifra dell’arte”, crocevia dell’umano sapere, ponte temporale tra culture, scuola di pensiero e di vita. Per natura sono attratta e tendo a ricercare personalità artistiche che suscitano in me un’eco interiore, quel feeling indispensabile per leggere e raccontare un’opera penetrando il liscio muro del suo silenzio. Questa empatia epidermica d’affinità inconsce, mi ha permesso fin dal primo istante di respirare l’atmosfera che caratterizza la sua opera, di cogliere e gustare quello strano sortilegio, quell'attimo d’impalpabile trapasso di stato in cui i soggetti delle sue tele, benché reali, evaporano sul labile, incerto confine dove l’amalgama di forma e colore vira all'astratto con linguaggio concettuale.
Max Loy entra nella nostra vita in punta di piedi per poi travolgerci.
L’intero suo percorso artistico è traccia autobiografica, una metafora trasparente, a volte, criptica, che testimonia l’esistere della coscienza nel mondo come corpo, carne e anima, storia e arte. Il suo segno prima figurativo, poi astratto, genera le cifre di una coscienza impegnata e ne traccia il percorso fenomenologico. Si tratta di “pittografie” di un’immaginazione creativa che vuole intimamente sostituirsi alla visione disincantata del mondo mediante armonici simboli di bellezza universale: forme essenziali, ombre e luci, una meticolosa, meditata sintassi strutturale e una sapiente opera di sintesi cromatica definiscono ancora oggi l’unicità stilistica della sua pittura. Le alchimie illusioniste delle ultime opere sono già presenti, dissimulate, nell’ordito dei suoi primi lavori figurativi e tutti i molteplici capitoli che costituiscono le tracce del suo percorso sono attraversati da un unico filo conduttore: un orizzonte. Il suo stile, sintesi poetica di arte e vita, è prova nel tempo di coerenza di “senso” e d’indirizzo, nonostante le varianti esplorative che pure intervengono in ogni suo “momento creativo”. Esplorazioni che, nate all'insegna d’una sperimentale passione per l’elaborazione d’ogni sorta di linguaggi e di materiali, risultano sempre coordinate e finalizzate da un’individuata visione unitaria, estetica e valoriale, sorretta da intima e motivata volontà espressiva, indifferente per scelta alle spurie seduzioni delle mode.
Pensando alla sua fervida operosità artistica, mi viene d’accostare il suo immaginario poetico e riflessivo ad alcuni personaggi di E.T.A. Hoffmann, non solo per la sensibilità musicale e cromatica delle atmosfere pittoriche, ma anche per la curiosa fantasia creativa che costella l’intera sua vita. Da questa documentata autobiografia, in cui Max ha voluto mettere ordine nei suoi cassetti, dai dipinti o dai video che nel tempo ha realizzato, si ricava l’impressione che anche il vivere quotidiano sia stato per lui materia da plasmare “ad arte”. La sua stessa casa sembra un museo, un’eletta e privata “wunderkammer”, un luogo delle meraviglie, un paradiso di bellezza e pace intellettiva dove idee, ispirazioni, suggerimenti provenienti da ogni dove, si siano accumulati incarnandosi in opere. Il primitivo e l’esotico, l’antico e il moderno, il figurativo e l’astratto, così spesso presenti nell'arte contemporanea con il loro effetto d’urto e contrasto, qui perdono la loro violenza provocatoria perché resi compatibili, simbiotici, quasi familiari. La magia persuasiva dell’eclettica creatività di Max, infatti, sorprende senza mai sconvolgere; la sua arte è certamente eccentrica, ma anche, come dire… “domestica”. E quella sottile vena d’umorismo, persistente anche nei passi più partecipi della sua scrittura, quella serena forma di distacco che addolcisce il suo sguardo indagatore o la stessa bizzarria, il gusto malizioso e divertito per il paradosso, una volta decifrato il suo iniziatico linguaggio, non straniscono, ma piacciono e rassicurano circa la legittimità e la credibilità di una personalità plasmata da un progetto avventuroso ma coerente e necessario per l’insopprimibile e ispirato bisogno di seguire una “stella”: Max ha sguardo lungo sull'invisibile.
In questo suo modo intimo di sentire e rappresentare il mondo, trovo interessante avvicinare l’espressività creativa del “contrasto”- immanenza e trascendenza - a un altro grande personaggio della cultura toscana: Piero Bigongiari, letterato e collezionista d’arte, a lungo vissuto a Pistoia, i cui “testi nodali - Il caso e il caos (1961) e L’evento immobile (1987) - documentano l’incessante riproporsi e mutare della polarità caso-caos, nella loro funzione creativa, meta-poetica, interpretativa e storicizzante del fare poesia” come scrive la Professoressa Enza Biagini Sabelli. La stessa meta-poetica si può riscontrare nei libri di Max, nelle opere del trentennale periodo figurativo come anche nei recenti dipinti “astratti” in cui accentua la tendenza metafisica con una trattazione predominante del tema “assenza-presenza”, ispirato da un forte anelito religioso. Una trascendenza espressiva che giunge in ultimo approdo a un equilibrio consapevole tra realtà visibile e la sua trasfigurazione simbolica.
Verso la fine del secolo passato, scavando più a fondo il senso ultimo della sua vocazione, Max scopre, accoglie e abbraccia pienamente il mandato di una precisa missione: la testimonianza: è il capitolo di svolta in cui il suo pensiero prende il largo e, svincolato da ogni contesto, spazia su orizzonti aperti, sconfinati e universali. Egli scrive:
“Ho amato tutto quello che ho fatto, ma ora è capitolo chiuso: di tanto fare faccio salva l’attualità”.
Voltata pagina, la sua instancabile vena creativa focalizza l’attenzione sulla forza penetrativa della comunicazione subliminale, il suo nuovo linguaggio elabora formule complesse veicolate in colorate pillole emozionali a lento rilascio: all'osservatore non è richiesto nessuno sforzo per “capire”, è bastante solo sostare davanti a un suo quadro per farne “esperienza”. A denominatore comune d’ogni sua opera scritta o dipinta pone un unico soggetto: la TRASCENDENZA, la “forma non forma”, “l’Altrove” come concetto e visione di una matura e sacrale percezione interiore del mondo. Dal 2000, intitola simbolicamente la sua nuova produzione “DEXTRA ET SINISTRA PARS MENTIS”, titolo esplicativo e magniloquente, inventato un po’ per provocatoria ironia verso le accademie della critica in auge, un po’ per riassumere in quattro parole intenzioni e metodo del suo fare. Le composizioni di questo periodo pittorico sono “finestre aperte” su spazi fluidi, specchio di pensieri in divenire tradotti in punta di pennello a tracciare scenari solo apparentemente invisibili. In pochi mesi rivoluziona radicalmente linguaggio e tematiche, ma senza discostarsi dalla sua originale visione del mondo. In forma nuova, più esatta e più libera ritroviamo nei suoi quadri “astratti” lo stesso modo usato un tempo nel trattare le scene figurative, là dove ogni colore, con le sue multiformi e delicate tonalità, plasmava visioni lasciando intravedere, come in un viaggio onirico, fotogrammi di memoria che l’occhio percepiva lentamente. In questa nuova stagione la sensibilità espressiva sembra diventata analitica, è ricorrente la sosta contemplativa sulle piacevolezze di dettaglio che liberano visioni non per addizione, ma attraverso sottrazione e sminuzzamento della forma ma, sorprendentemente, proprio questa spoliazione di elementi e questa frantumazione del reale sembra alla fine mirata ad un’estrema sintesi che distilla “essenze”, concetti e formule. Sì, perché Max caratterialmente non si lascia del tutto trasportare dall'estro, vero che non fa un passo senza ispirazione, vero che è estemporaneo nelle prime mosse, ma vuole tenere e sistematicamente tiene lucidamente il controllo del suo impulso creativo: sottopone a giudizio della ragione il suo fare e guida a destinazione la spinta emozionale per farne esperienza “esistenziale”, spiega. “Dextra et sinistra pars mentis”, parte destra e parte sinistra del cervello, emotività e razionalità convivono l’una in funzione dell’altra. Egli scrive: “La sintesi di queste differenti facoltà organizza il pensiero che è tipica ed esclusiva connotazione umana. Suo compito è ricucire uno strappo, sanare una lacerazione, fare ritorno all’UNO, al nostro Paradiso perduto. Così l’arte, che è metafora, interprete del Pensiero e testimone dello Spirito, tenta, in ogni sua espressione, la sintesi degli opposti: l’armonica via che riconduce all'unità. Sono presenti, in questi miei quadri, due diversi elementi: il colore e la linea, la casualità e l’organizzazione, l’intuizione e il riconoscimento”.
L’imbastitura non ragionata dell’opera, il tratto veloce, istintivo, rapido, caratteriale, che itera archetipi impressi nel DNA - cifre inconsce della mente - compendiano la fase riflessiva, dove il calcolo, la misura, il ritmo, la danza, fissano la metrica opportuna, il criterio musicale idoneo a coordinare gli impulsi dell’emotività al progetto.
“Due diverse musiche, accordate come un canto e un controcanto, per evocare la meraviglia di un ascolto stereofonico”.
Nel processo compositivo di queste nuove opere è d’importanza primaria la linea che, pur avendo apparente irrilevanza plastica perché raramente usata per disegnare o racchiudere una forma, tuttavia, tracciata in tutti i modi possibili, fluida o rigida, sinuosa o spigolosa, aggrovigliata, marcata, talvolta rude, tal altra morbida o lieve come una piuma, è elemento sempre presente. Una linea che appiattendo la spazialità volumetrica lascia prevalere l’oggettività di uno spazio bidimensionale ovvio com'è ovvio ed evidente “il presente”, il tempo che non concede campo all'immaginazione. Ma, sorpresa! Max, davanti ai nostri occhi, con rapido gesto, compie uno dei suoi incantesimi ipnotici e con un semplice scorrere a velatura del pennello sbalza il primo piano dallo sfondo. Poi con l’uso del colore azzurro evoca nostalgie di distanze, creando un’illusoria tridimensionalità che appare e scompare secondo chi e come viene osservato il quadro. Un modo sperimentale per trasmettere un’esperienza “immediata”: l’aleatorietà del reale percepito dai sensi. Una testimonianza e un avvertimento. Allo stesso modo crea sull'opacità piatta del colore acrilico gli effetti di lucentezza e pastosità degli olii, o la leggerezza evanescente dell’acquerello a ribadire il concetto: la realtà percepita dai sensi è ingannevole sia perché soggettiva sia perché è gravida di un’intrinseca instabilità, perennemente suscettibile di mutazione come nelle sequenze dei suoi film che sfumano i cambi di scena in dissolvenza:
“La vita è sogno”, frase ricorrente nei suoi scritti.
E’ lo stile di Max: manipolare il reale per provocare la coscienza, porre domande, suscitare dubbi, stupire per attirare l’attenzione distratta, disorientare per far riflettere, mostrare e nascondere per attizzare la curiosità, giocare con le parole per indagare l’arbitrio a “fil di logica” e con la materia per esplorarne i segreti. Di fatto le sue sperimentazioni pittoriche comprendono di tutto: oli, pigmenti ossidi e terre in polvere, velature e opacità, trasparenze, luci ed ombre, colori organici ed inorganici; tutto è repertorio archeologico e contemporaneo per il suo spirito creativo e Max, ben conoscendo l’alchimia di cui ogni opera d’arte è fatta, forza ogni elemento per provarne i limiti, la versatilità, la resistenza e l’affidabilità su cui poi gettare le fondamenta dei suoi aerei ponti verso l’Altrove, verso la Terra Promessa, il luogo santo dell’eterna armonia.
“Dipingere il mondo senza più descriverlo, suscitando miraggi” è il suo proposito.
Il suo astrattismo, se così vogliamo definirlo, è un genere del tutto differente da quello dei costruttivisti o dei neoplasticisti, perché rimane coerentemente legato ad un preciso intento figurativo se non addirittura narrativo. Più precisamente è fantastico, onirico, giocoso, molto lontano dalla morbosità di alcuni surrealisti d’avanguardia.
Forse si può dire che la “scrittura pittorica” di Loy è un amalgama di tensione emotiva che, sull'onda portante di un’endemica, metafisica e astratta nostalgia, ipotizza e sogna paradisi di luce, serenità, silenzio, armonia; ma voler scandagliare il suo multiforme uso dell’inciso, la propensione al divagare, al paradosso, all'invenzione e ai continui rimandi di cui è intessuto tutto il suo articolato e complesso percorso creativo che getta luci cangianti su ogni sua opera, bisogna ammettere è impegno esorbitante: o si sposa la sua causa sotto ipnosi, affascinati dagli oliati ingranaggi del suo affabulare o ci si deve imporre un limite, un formato, cioè individuare le costanti più salde e genuine della sua arte rinunciando ad analizzare minutamente le molteplici metamorfosi e gli infiniti meandri inesplorati della sua creatività, lasciando che il tempo scelga per noi gli appuntamenti da non perdere per incontrarlo sempre su nuovi, convergenti percorsi, a nuove altezze e nuove profondità. Bello è credere a una maturità dei tempi in cui avremo chiara visione del mondo dentro e fuori di noi, perché la comprensione di un autore complesso è sempre commisurata alla nostra luce interiore.
Scrive Max:
“Non è lì dove guardi la Poesia, abita altrove i luoghi dell’anima. Sferica è la sua superficie, la sua verità si completa dietro una curva infinita. Lascia a noi il pegno del viaggio e il conforto del tempo: un giorno capiremo i discorsi dei grandi, riuniti a tavola, nell'altra stanza”.
Significa ora lasciare ampio margine a inedite interpretazioni di quest’artista prismatico e misterioso quanto multiforme e misteriosa è la vita.
Credo comunque si possa giungere a considerare in toto l’opera di Max Loy come un incalcolabile contributo a una visione del mondo a un tempo intima, introversa, elitaria, iniziatica, ma anche estroversa, ironica, lirica, destinata fin anche al grande pubblico e alle masse per l’evocativa armonia che emana. La sua Arte travalica il mondo del conosciuto per tramutarsi, come la sua vita in favola. La sua ispirazione è desiderio d’infinito, di ciò che i sensi non colgono. Il suo tempo è l’altrove dell’anima, speranza universale di vita, fusa alla memoria del passato come unico tempo del mondo. La sua opera è poesia e continuo stupore.
Dalla meraviglia nasce una nuova percezione del mondo.
Attraverso la collisione col mondo, il suo pensiero, la sua pittura lo rinnova.

Dott.ssa Rosanna Mele
Storico dell’arte e critico indipendente


domenica 17 novembre 2019

Il nuovo romanzo di Max Loy: METTIMI COME SIGILLO SUL TUO CUORE



L’amore è la chiave.

Una luce che svela il simbolismo dei sentimenti illuminando a giorno le più segrete e recondite stanze dell’inconscio. Lentamente la realtà acquista profondità di orizzonti, trasparenza di sostanza e pregnanza di significato. L’Amore è la chiave, l’amore è Malùa, donna, modella, icona, levità e fascinazione magmatica, libertà e sacrificio, l’Amore fatto carne e spirito: un insondabile Mistero. Con un narrato quasi autobiografico Max Loy intreccia i capitoli di un esodo esistenziale iniziatico personalissimo. Affascinato dall’incontro con la Bellezza ma irretito dalla concupiscenza, attraversa deserti in un avventuroso pellegrinaggio nella terra di nessuno, in precario equilibrio sullo spartiacque delle infinite dimensioni del reale. Guidato e salvato dall’Amore matura nuovi pensieri per fermarsi arreso e benedetto ai piedi di una croce.

lunedì 25 febbraio 2019

La ricerca del bene comune


La chiave è elevare il proprio stato di coscienza. 

Occorre impegnarsi per conoscere chi siamo veramente, per ricordare la propria storia, per riconoscere i propri limiti, per ritrovare la fiducia ed il gusto di essere parte di una comunità di simili. 
Infatti ciò che è più personale, è più universale.

  
Ma non basta tutto ciò, non basta essere individui innestati in un contesto. E' necessario invece moltissimo lavoro di sintonizzazione, di con-vibrazione, di risonanza, di scambievole riflessione.
Avere contatto con l'Anima.

E' possibile e necessario fare questo cambiamento: diventare coerenti, integri. Cioè se stessi. E può avvenire in un istante: ad esempio quando si riconosce per risonanza una vera autorità, ci si innamora della sua anima, e quindi della propria.

Il mondo interno corrisponde al mondo esterno.


Così avrà cittadinanza la collaborazione, il rispetto, la giustizia, la bellezza, la verità. Una comunità di esseri umani psichicamente e spiritualmente sani, socievoli, donativi, umanizzati al più elevato grado.

ARMONIA

Liberamente tratto da un'intervista di Mauro Scardovelli

Frammenti indefiniti dell'ora




Video di Milena Farre su testo poetico di Mariella Murgia

lunedì 18 febbraio 2019

Amargura


Testo di Mariella Murgia