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A N T O L O G I A
lunedì 10 gennaio 2011
L'arte: lo spazio comune del Divino.
«Dio è una sfera infinita, il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo» (Il Libro dei XXIV Filosofi). La definizione – che rimanda ad una consolidata tradizione che prenderebbe origine da Aristotele – vede, per analogia, Dio come una sfera, simbolo di totalità: quindi uno spazio perfetto e compiuto
L’uomo – se vuole partecipare alla spazialità sacra – deve entrare (o rientrare) in questa dimensione di totalità. Lo spazio mistico, misterioso e trascendente.
Per i moderni psicologi-analitici è il processo di individuazione, la cui meta è lo spazio del divino: lo spazio trans-personale e infinitamente finito del Sé. In questo percorso l’uomo dovrà necessariamente sperimentare la curvatura. Solo così potrà entrare in quello spazio particolare – circoscritto ed infinito nello stesso tempo (è il linguaggio della complexio) – che coincide, in tutte le tradizioni simboliche, con lo spazio nel quale è possibile comunicare con il mondo divino. Va da sé che la citata via della curvatura è sempre segreta e riservata in quanto non tutti sono in grado di percorrerla: per le difficoltà – se non altro psicologiche – che implica la particolare disposizione d’animo per iniziare il cammino. Il vero sapere non è un diritto acquisito e neppure è il frutto di una scelta democratica.
Il primo livello di questa progressione è sicuramente intuitivo.
Si potrebbe ipotizzare che uno dei primi luoghi in cui il rito ha svolto la sua funzione sia stata la caverna che – come uterus mundi – rimanda alla presenza (e alla potenza) di una divinità materna a cui l’uomo soggiace. L’inconscio che viene evocato rimanda ad una situazione emotiva, passionale e sensibile che esprime la dimensione pericolosamente uroborica.
Tuttavia, nella caverna sono presenti – seppur ad uno stato latente – i presupposti per l’acquisizione (che si realizzerà in un lento progresso) di un maggior livello di coscienza: un livello «che riflette una legge interiore ordinatrice la quale, al pari dell’istinto, è depositaria di un sapere superiore più forte addirittura della paura. Questa acquisizione coincide con il passaggio all’esterno: con l’abbandono delle cavità e con l’uscita alla luce del sole.
Sicuramente, è un passaggio in cui l’uomo raggiunge un più elevato grado di coscienza, ancorché in uno stadio ancora incompiuto. Segna un passaggio epocale in cui all’intuitivo-primordiale del materno si unisce la spinta propulsiva verso l’alto del cielo-sole-padre-coscienza.
Si giunge, infine, allo spazio templare vero e proprio. Esso s’innalza dal buio materno-naturale-uroborico-intuitivo alla luminosità solare del cielo delle verità.
Il secondo livello è avere consapevolezza che lo spazio divino viene offerto all’uomo affinché il divino possa oggettivarsi. Infatti anche il divino deve necessariamente umanizzarsi, per incontrare l’uomo. Per questo lo spazio del divino si è trasformato per consentire all’uomo il rispecchiamento di sé. E’ un rispecchiamento che dà all’uomo la possibilità di acquisire una stabilità psicologica tale da contrastare, almeno parzialmente, il dominio della forze istintuali e primordiali della Natura, e di costruire un significato per la propria esistenza non più legata al contingente.
Così l’uomo divenuto soggetto autonomo sentirà di doversi innalzare sempre più verso il cielo trovando nel divino una omologa e speculare rispondenza. L'ordine è ciò che dà senso al vivere, indirizzandolo e contestualizzandolo in qualcosa di non legato al presente. L’ordine è la prova stessa del divino.
Ma l’autonomia dell’uomo e la libertà può condurre facilmente alla sua laicità. L’uomo non si rapporta più, se non marginalmente, con il divino ma solo con gli altri uomini. Il divino è confinato sempre più in alto nei cieli dell’astrazione teologica. Da questo momento, la mancanza del divino negli spazi abitati dall’uomo genera la paura. È la paura che Dio non ci sia più: che non abiti più le regioni dell’uomo. È l’assenza della presenza che fa sì che la paura assuma le più varie connotazioni. È la paura della contaminazione sociale che può nascere dalla mescolanza di gruppi diversi, non più amalgamati.
Né è conseguenza un panorama lugubre, desolante e inquietante: spazio dove né il divino né il bello hanno più dimora e dove l’uomo può perdere la libertà, la dignità e persino il proprio Io e regredire a condizioni pre-umane.
LE METAMORFOSI DELLO SPAZIO: IL DIVINO E L’UMANO
di Claudio Bonvecchio