Questa sera non lavoro, voglio unirmi al gruppo di turisti che va a Naama bay alle cinque e mezza.
Naama bay vive di notte, si accende di mille luci al tramonto del sole e, come una piccola Venezia, tesse i suoi storditi incantesimi nell’indolente mollezza dei salotti da fumo, nella penombra rossa dei ristoranti, nei negozi rutilanti di colori e di riflessi d’oro e d’argento. Fa già buio alle sei e il buio regala fascino a realtà che di giorno risultano povere, disadorne e inconsistenti.
M’incammino nella strada principale.
È una strada interdetta al traffico, diritta e lunga mezzo chilometro, dalla quale si dipartono o affluiscono tutte le altre strade della cittadina che affaccia sulla baia omonima. Su tutti i percorsi è iterata la stessa immagine accattivante offerta all’arrivo, alla discesa dall’autobus che apre le porte praticamente dentro un negozio.
Qui, a Naama, si vende di tutto e tutto è in vendita. Ovunque poso lo sguardo incrocio gli occhi attenti dei commercianti che mi osservano: chiamano, vengono incontro, mi chiedono di dove sono, mi invitano ad entrare trattenendomi con insistenza prepotente per un braccio e poi fanno la mossa di offendersi se mi libero e accenno a passar oltre:
se non compro sono un “italiano stronzo”.
Esattamente quello che penso io quando, in crisi d’astinenza, vado in caccia di clienti:
ho la disgrazia di capire le ragioni di tutti.
Ora mi trovo in un centro commerciale che si sviluppa su due livelli. Non c’è nessuna escursione termica tra il giorno e la notte e in questi spazi coperti, con l’aggiunta dell’illuminazione e della gente, non si riesce a stare. Ma io sto cercando di vedere se qui, da qualche parte, c’è una galleria d’arte. I negozianti però non mi lasciano in pace, sono un vero fastidio con questo caldo. Visito tutto il centro, scendo al piano di sotto dove finalmente scopro un’esposizione di quadri con tanto di artista all’opera.
Ma non è cosa, non si va oltre il basso artigianato e il souvenir: cammelli e cammellini in tutte le salse, stilizzati per far prima, sullo sfondo di dune improbabili, abborracciate con smalti da carroziere nei colori violenti rosso e nero: cose veramente brutte che mi deprimono.
Intanto i commercianti non danno tregua. Alla fine cedo all’insistenza di un ennesimo invito di un ragazzo per una vena di simpatia comunicativa che ha nel sorriso e finisco dentro un negozio che vende papiri. Ascolto con pazienza tutto il procedimento della macerazione della foglia di papiro che seguo con l’interesse che Neri metteva nell’informarsi sulla salute dei parenti e vengo edotto sulle antiche tecniche che dalla pianta portano al prodotto finito, sorrido e mi complimento con ogni benevolenza, poi cerco di avvicinarmi alla porta per uscire.
Nel negozio ci sono altri tre giovani. Uno di questi si alza, attraversa la stanza e si piazza davanti all’uscita: mi vogliono mostrare altre cose piuttosto perentoriamente.
Incomincio a seccarmi e lo faccio capire, dico che non sono entrato per comprare e che ora voglio andare. A questo punto mi sento prendere per un braccio, tutti gli occhi sono su di me e uno mi chiede se ho paura.
“ Ecco una bella trappola” penso, e meno male che non sono una donna!
Mi libero il braccio e passando tra loro guadagno veloce la porta, sordo ai commenti e alle provocazioni che posso bene immaginare.
Non mi è piaciuta la cosa, ha dato corpo alle mie ansietà, ho constatato com’è facile essere incastrati: - Stronzi! non venderanno un cazzo se fanno così.-
Riprendo il mio giro d’esplorazione solitaria evitando d’incrociare lo sguardo per non dare adito a confidenze. Vado su e giù per le stradine, ormai in polemica con questo posto che mi sta sembrando finto e ostile. Noto anche la presenza di molta polizia. Gli agenti viaggiano a bordo di camionette, appesi a grappolo ai predellini, scendono, risalgono, sciamano chi qua chi là indaffarati come i camerieri del Sea life. Sono quasi tutti dei ragazzi e mi sembra che giochino a fare “ammoina” contenti della divisa.
In qualche viuzza laterale vedo al lavoro gli spazzini. È strano con il disordine e la sporcizia endemica di quaggiù vedere a quest’ora, col buio, uno che con una scopa e una paletta in mano fa la posta alla cicca lasciata cadere per incuria dal turista, mi da l’idea dell’accanimento terapeutico. Ma meglio così, non risolve il problema, ma viva la buona volontà: Pistoia avrebbe molto da imparare.
Si sta facendo l’ora, ho girato un po’ dappertutto doppiando le strade e spingendomi fin sulla spiaggia, davanti ad un mare nero di una notte senza luna.
Ora mi avvio alla fermata dell’autobus per l’appuntamento delle otto, contento d’aver visto e di fare ritorno al ristorante per la cena, tra gente che mi è più familiare.
A Naama bay la notte è appena cominciata.
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