Alternando tratti in cui pedalava per il solo piacere di muovere le gambe a tratti in cui si lasciava trasportare dalla lieve pendenza della strada che degradava con dolcezza verso il mare, guardava venirgli incontro un paesaggio familiare monotono, povero e vuoto. Terra argillosa irta di stoppie bruciate, sassi, ciuffi di avena biondo pallido sempre presenti nei suoi quadri, grovigli polverosi di fichi d’India carichi di frutti che nessuno avrebbe mai colto, a rinfacciare gli sprechi, qualche cespuglio rugginoso di cisto e, oltre i fossati, su entrambi i lati della strada, qua e là, stentati ulivi e carrubi, di tanto in tanto un fico solitario poi spazio vuoto, terra abbandonata e sempre, sullo sfondo a giro d’orizzonte, filari d’eucaliptus incongruamente lussureggiante in mezzo a tanto deserto. Luca respirava l’aria lievemente profumata di terra calda e di fieno, pronto a trattenere il fiato all’impatto con qualche ristagnante putrescenza gettata a marcire nei fossi. Quante volte s’era fermato da ragazzo ad osservare pensieroso il sonno libero della morte nei fossi delle strade. Un passero, un riccio, un gatto, un cane falciati da una macchina, irrigiditi, gonfi e contratti in uno spasmo infinito o abbandonati, immemori del tempo, con le orbite vuote e le ossa affioranti da carcasse terrose dal pelo arruffato e sbiadito. La semplicità della morte, la povertà, la concretezza, l’evidenza, l’oscenità, il paradosso della morte così tangibile e così astratta, immanente e distante, svelata e segreta. Venti metri in apnea e poi un bel respiro d’aria pulita: …. La morte…un contrattempo da nulla nella storia di una strada.
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sabato 26 dicembre 2009
La morte…un contrattempo da nulla - da "La casa del padre"
Ristette sui pedali, lasciò scivolare silenziosamente la bicicletta e si voltò a guardare la strada che si allontanava dietro di lui. Era un semplice, misterioso piacere vedere la strada che veniva incontro, scivolava sotto le ruote e si allontanava come acqua di fiume, come transito di un treno, come aereo che solca il cielo o nave che percorre un orizzonte, come evento che da lontano si fa vicino, ci raggiunge, ci sfiora, prosegue e si allontana fino a perdersi, come il tempo: futuro, presente e passato… viaggiando, verso il mare. Una bella metafora la strada.
Alternando tratti in cui pedalava per il solo piacere di muovere le gambe a tratti in cui si lasciava trasportare dalla lieve pendenza della strada che degradava con dolcezza verso il mare, guardava venirgli incontro un paesaggio familiare monotono, povero e vuoto. Terra argillosa irta di stoppie bruciate, sassi, ciuffi di avena biondo pallido sempre presenti nei suoi quadri, grovigli polverosi di fichi d’India carichi di frutti che nessuno avrebbe mai colto, a rinfacciare gli sprechi, qualche cespuglio rugginoso di cisto e, oltre i fossati, su entrambi i lati della strada, qua e là, stentati ulivi e carrubi, di tanto in tanto un fico solitario poi spazio vuoto, terra abbandonata e sempre, sullo sfondo a giro d’orizzonte, filari d’eucaliptus incongruamente lussureggiante in mezzo a tanto deserto. Luca respirava l’aria lievemente profumata di terra calda e di fieno, pronto a trattenere il fiato all’impatto con qualche ristagnante putrescenza gettata a marcire nei fossi. Quante volte s’era fermato da ragazzo ad osservare pensieroso il sonno libero della morte nei fossi delle strade. Un passero, un riccio, un gatto, un cane falciati da una macchina, irrigiditi, gonfi e contratti in uno spasmo infinito o abbandonati, immemori del tempo, con le orbite vuote e le ossa affioranti da carcasse terrose dal pelo arruffato e sbiadito. La semplicità della morte, la povertà, la concretezza, l’evidenza, l’oscenità, il paradosso della morte così tangibile e così astratta, immanente e distante, svelata e segreta. Venti metri in apnea e poi un bel respiro d’aria pulita: …. La morte…un contrattempo da nulla nella storia di una strada.
Alternando tratti in cui pedalava per il solo piacere di muovere le gambe a tratti in cui si lasciava trasportare dalla lieve pendenza della strada che degradava con dolcezza verso il mare, guardava venirgli incontro un paesaggio familiare monotono, povero e vuoto. Terra argillosa irta di stoppie bruciate, sassi, ciuffi di avena biondo pallido sempre presenti nei suoi quadri, grovigli polverosi di fichi d’India carichi di frutti che nessuno avrebbe mai colto, a rinfacciare gli sprechi, qualche cespuglio rugginoso di cisto e, oltre i fossati, su entrambi i lati della strada, qua e là, stentati ulivi e carrubi, di tanto in tanto un fico solitario poi spazio vuoto, terra abbandonata e sempre, sullo sfondo a giro d’orizzonte, filari d’eucaliptus incongruamente lussureggiante in mezzo a tanto deserto. Luca respirava l’aria lievemente profumata di terra calda e di fieno, pronto a trattenere il fiato all’impatto con qualche ristagnante putrescenza gettata a marcire nei fossi. Quante volte s’era fermato da ragazzo ad osservare pensieroso il sonno libero della morte nei fossi delle strade. Un passero, un riccio, un gatto, un cane falciati da una macchina, irrigiditi, gonfi e contratti in uno spasmo infinito o abbandonati, immemori del tempo, con le orbite vuote e le ossa affioranti da carcasse terrose dal pelo arruffato e sbiadito. La semplicità della morte, la povertà, la concretezza, l’evidenza, l’oscenità, il paradosso della morte così tangibile e così astratta, immanente e distante, svelata e segreta. Venti metri in apnea e poi un bel respiro d’aria pulita: …. La morte…un contrattempo da nulla nella storia di una strada.
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