Sono nel mio studio da pochi minuti, stendo la tela, avvolta in rotolo, sul telaio e col trincetto la taglio a misura. Quest’operazione la faccio volentieri, è meccanica, non devo pensare, mi piace maneggiare la tela, tenderla, osservarne la trama. Una bella tela bianca e immacolata (che però io uso al rovescio perchè sono un bastiancontrario) sulla quale inventare una nuova opera. Quasi mi dispiace sciupare la sua uniformità perfetta con dei segni imperfetti. Sto cercando di usare il colore in modo da non ricoprirla completamente. Ne vien fuori il bello del non-finito, dell’abbozzo veloce. Nascono nuove difficoltà: la trama della tela sul suo rovescio ha la sua bellezza, il colore ne ha un’altra, il segno un’altra ancora e devo mettere insieme tutte queste bellezze senza farle litigare per la mela di Paride.
Ci vuole il “quid”, ma questi quid ormai sono una specie in estinzione, ce n’è uno qui, uno là, ogni tanto, nascosti chissà dove. Forse uno l’ha trovato la murena dentro quel buco e me l’ha fregato.
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