Trasferisco tutto il materiale sulla pagoda e, verso le dieci di mattina, provo ad usare la mia attrezzatura. C’è un bel po’ di vento, la tela non sta ferma e i colori in polvere volano insieme ai piatti di plastica. Mi metto al riparo di uno scalino e ritento l’operazione: acqua, pigmento, legante e una bella mescolata. Torno al cavalletto legato con una cordicella alla balaustra perchè non si muova e velocemente stendo tre pennellate sulla tela prima che il colore si asciughi. Ripeto l’operazione con un altro colore, poi ancora e ancora, su e giù fino a formare una tavolozza colorata. Fin quì la cosa è possibile, ma è stata una fatica assurda. Il difficile verrà quando avrò bisogno di più colori insieme per creare trapassi tonali e sfumature che sono il bello di questi quadri: come farò? Intanto il vento rinforza, il sole picchia feroce, parte la cascata artificiale che fa un bel rumore assordante e attaccano anche gli altoparlanti a tutto volume con i ritmi ossessivi dell’acqua-gim... Io concentrato nella ricerca creativa non mi accorgo subito che sta per venirmi una crisi isterica, ma quando un’improvvisa folata di vento fa volare un piatto di sotto capisco che è ora di far festa e mollare tutto.
Meglio fare una capatina al bar per un “caffè italiano espresso stretto e buono”.
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