..."Il raggio verde è una luce visibile per brevi secondi nelle chiare serate estive, subito dopo il tramonto del sole. In metafora è qualcos’altro di più significante, una luce interiore che va cercata lì dove ha dimora: nel silenzio.
raccolta di immagini, testi e pensieri di Max Loy ...
e di quant'altro attinente alla sua arte
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..........................Informazioni personali......................... M A X . L O Y
In these paintings of mine there are two different elements: colour and shape, casualty and organization, intuition and recognition.Two different types of music combining melody and a countermelody evoking the marvel of a stereophonic listening.
ACCOMODATI,SEI IL BENVENUTO !
Introduzione alla Sua arte
Esposizione virtuale delle opere di Max Loy.
“E’ così: ogni azione e ancor più manifestamente quelle dettate dal sentimento, affondano le radici in una regione misteriosa dalla quale ogni gesto assume un significato trascendente che è caratteristico della figura dell’uomo: egli trascende se stesso, così le sue azioni sono allegorie, immanenza e trascendenza insieme.
...in coincidenza con questa straordinaria novità anche il tempo è radicalmente cambiato e nel giro di pochi minuti si è dissolta l’afa, come se si fosse aperta una finestra.
Ero a letto per due minuti di break, dopo aver mangiato troppo per la capienza ridotta del mio stomaco, chiuso per lo stress dell’incontro e della partenza.
Stavo con gli occhi al soffitto contemplando il nulla della parete bianca, il lampadario e la finestra, in attesa di ricuperare quel po’ di energia utile per finire il carico delle ultime cose.
La tenda pendeva immobile per mancanza d’aria.
Poi è entrato un soffio leggero e l’ha smossa, subito dopo ho udito frusciare le foglie nel giardino e la tenda s’è gonfiata, ha lambito la sponda del letto e si è aperta per l’impeto del vento:
Sento il profumo della Sardegna, quell’odore aspro e amaro di erbe e cespugli che si fonde con lo iodio delle alghe e la salsedine marina, profumo di spazi aperti e di grandi silenzi, il profumo di un’isola.
Capo Spartivento, ultimo baluardo che serra l’ampio arco delle dorate spiagge di Chia, uniche al mondo per bellezza e uniche nella mia memoria. Ho lasciato alle spalle l’insenatura di cala Cipolla, ancora vociante degli ultimi turisti, e mi sto addentrando in quel sentiero tortuoso e sconnesso che solo i temerari tentano su un fuori strada. Anche camminando a piedi è necessario tenere gli occhi a terra per non inciampare nelle pietre o slogarsi una caviglia nei solchi che l’acqua ha scavato nella terra. In questo silenzio animato della natura, riascolto il rumore familiare dei passi che son ricordo di un mondo passato in cui si andava a piedi su strade ancora sterrate, ricordi d’infanzia, di cinquant’anni fa. La strada è affaticante per il caldo. Sotto il mare rumoreggia irrompendo con grandi onde tra gli scogli e la luce rende festoso questo spettacolo grandioso. Poi la strada aggira un’altura ed il rombo del mare lentamente si affievolisce ed infine scompare, il silenzio diventa grande e mi rende consapevole dei piccoli rumori: lo scricchiolio di un arbusto secco al passaggio furtivo di una lucertola, il ronzio di un’ape a mezz’aria. Ho infilato la penna in un passante dei pantaloni e tengo in mano il quaderno. Ogni tre passi mi fermo e scrivo qualcosa con stile telegrafico, in codice, per far presto a registrare dettagli e pensieri che altrimenti subito si dimenticano. A leggerle di seguito sembrano il farneticare di un pazzo: cisto-passi-gente-stop-onde-aria-caldo-ronzio…… E' la traccia della strada fatta, metro per metro.
È già l’una, sto scrivendo col quaderno appoggiato al parapetto del faro, cento metri ”alti” sul livello del mare, salterò il pranzo e mi godrò in pace, senza urgenze, questi momenti di astratta densità, ricapitolando sull’orizzonte, l’itinerario spirituale di questa lunga estate, come mi sono prefisso. Era necessario fare quest'ora per essere certi di non incontrare anima viva e sentirsi completamente e splendidamente soli. Questi appuntamenti amorosi chiedono privacy. So bene che l’ispirazione non viene a comando, però mi accorgo di un'urgenza per un problema che ho sottovalutato: qui non esiste un filo d’ombra. Faccio un sopralluogo, apro un cancello arrugginito ed entro nel cortile dell’edificio. L’ombra è a ridosso del muro, ma non c’è un sasso per sedersi e all’interno del faro non si può accedere, le porte in ferro sono sprangate. Rinuncio alla speranza dell'ombra. Ma ecco che un sentimento mi invade mentre osservo le pietre di questo edificio che sta andando lentamente in rovina. il Tempo sta trasformando la banalità in suggestione e la suggestione in metafora delegata a demandare ad altro e su questa strada a seguire giù, giù, la lunga teoria delle assonanze e delle implicazioni i miei pensieri sprofondano nel mare come catena trascinata a fondo dal peso di un’antica ancora di nave e ritrovano nel buio di questa profondità il sentimento che andavo cercando in superficie, in alto, nella piena luce di questo luogo dimenticato, quel sentimento che ben conosce la gente di mare che ha passato la vita a guardare lontano, sull’orizzonte, l’azzurro confine di questo azzurro pianeta che chiamiamo terra, e invece è pieno di mare: il suo nome è un destino
Sono al Flamingo, oggi sono venuto anche prima del solito, sono solo le 20,30. A quest’ora la gente è tutta all’interno della grande sala del ristorante e dove sono io, all’esterno, non c’è anima viva e c’è un silenzio che non conoscevo in questo posto.
Dietro ai vetri ci sarà il solito brusio, anzi il vero e proprio chiasso che possono fare trecento persone a tavola, ma non mi riguarda: dalla mia postazione li osservo in vetrina, come in un film.
Ma il tempo passa e quest’incantesimo s’interrompe. Anche questa sera è di scena Manuel, il pirata, che in attesa del pubblico del dopocena, accende le sue basi musicali che fanno da preambolo alla sua performance.
Mi ha chiesto ”vuoi venire a pesca con me?”. Ogni tanto qualcuno mi cerca, sulle prime faccio una certa simpatia, poi, quando apro bocca ….
Si è comprato una barca, credo abbastanza grande, e quando non riposa per recuperare il sonno che perde di notte, esce in mare come faccio io.
”Pescare” penso, mi piacerebbe, ma non ho esperienza e provo avversione per i risvolti crudi della cosa, come l’indifferenza per l’agonia di un essere vivente e per quelli schifosi come lo sbudellamento. Per il resto mi piace, cioè, se allo stare in mare posso aggiungere uno scopo, questo mi fa piacere: sono nello spirito giusto? credo di no, e allora declino l’invito per non trovarmi a disagio. Considero anche che mi imbarazza trattenermi per più di mezzora con chiunque al mondo: o mi sposo il partner o lo evito, non conosco vie di mezzo.
Mentre mi astraggo in questi cervellotici pensieri esistenziali cercando impossibili risposte, il mondo mi frulla intorno con il solito carnevale. Dopo un po’ però me ne accorgo e mi prendo la prima incazzatura della serata: vedo tre bambini che corrono intorno ai quadri giocando a fare cucù con il genitore scemo. Visto che lavoro così bene con la mia, cerco di capire come funziona la testa degli altri: ma come diavolo gli viene in mente! Ora mi alzo e gli faccio una parte: ma è mai possibile!
Cambiano gli attori, ora sono due gemelline sui sette anni, che graziose!, sono vestite uguali, fanno passi di danza, sanno fare anche la ruota, ma che brave…però perché non si spostano un po’ più in là? Perché sempre sui miei quadri?!
In prima serata, appena allestita la mostra, s’è creato un lusinghiero capannello di gente, una decina di persone s’è radunata nell’esiguo spazio tra i cavalletti schierati e la piscina e, ovviamente, ha stuzzicato la curiosità di altri che si sono mossi da lontano per vedere quello che avrebbero potuto gustarsi molto di più in qualsiasi altro momento. Dovrei pagare qualcuno che mi regga il gioco tutte le sere: sono stati cinque minuti di gloria, molto fumo, ma poco arrosto: come sono venuti, così se ne sono andati. Amori effimeri ed effimere felicità: sfila il carnevale, mettiamoci la maschera della serena indifferenza. In cinque minuti si è bruciata la serata, tutta la curiosità si è consumata in una fiammata, ha fatto luce e si è subito spenta. Ora potrei anche sbaraccare tutto e andarmene a dormire ma…. Ma non si sa mai e quindi…. sono fregato. Intanto le zanzarine mi disturbano, mi svolazzano sulla testa dove ho i ricettori, ronzano nelle orecchie e non ne parliamo, mi passano davanti agli occhi, mi toccano qua e là per farmi innervosire, per farmi agitare cosi mi accaldo e sono più buono da mangiare. Suona il pirata, ma questa sera è partito bene, fa buona musica, s’è messo una mano sulla coscienza, speriamo continui così. Sono ormai due mesi che non perdo un colpo: come motore funziono bene, una sera di qua e una di là, mi sono sdoppiato, sono presente su due palcoscenici in contemporanea…..ma chi sono?! Quanta pazienza serve nella vita….quanta ne chiede la gente…. Vedo ripetersi ogni volta gli stessi comportamenti e posso fare le statistiche: gli inglesi sono a quel modo, i francesi a quell’altro, i russi sono così, i tedeschi cosà, poi ci sono gli italiani che si suddividono nelle sottospecie dei milanesi, dei romani, veneti, toscani, napoletani….tutti con le specifiche caratteristiche comportamentali, fanno e dicono cose scontate in partenza. Mi fanno perdere tempo e non comprano niente. Poi ogni tanto arriva uno deciso: vuole quel quadro per i motivi che sa lui, quanto costa? Paga e se lo porta via. Neanche mi lascia il tempo di un commento, non riesco neppure a dire grazie che è già fuori tiro. C’è soddisfazione a vendere in questo modo? Ormai sono diverse sere che salto il mio spettacolino dell’artista all’opera. Era un gran traffico e alla fine non ho potuto nemmeno capire quanto servisse a promuovere la vendita. Penso che le cose vadano come devono andare, a prescindere. Tra qualche giorno comincerò a portare via un po’ di roba che non utilizzo più come il riflettore, i pannelli vuoti, i cavi elettrici, la mia cassetta dei colori… Comincio a respirare aria di partenza annunciata dal cambio di stagione, aria di fine estate. Non saprei neanche dire cosa è cambiato da un giorno all’altro, forse c’è meno aspettativa, meno frenesia di fare cose, meno eccitazione, forse c’è meno gente, ma non è un’evidenza, è solo una sensazione. Attraversando la hall passo davanti ad un grande specchio. Allora mi volto e mi sorprendo del mio aspetto. Nella mente ho un’idea alquanto astratta di me, non mi configuro, né mi attribuisco una fisionomia o un’età. Quando mi vedo è sempre una rivelazione.
La sera sono al Flamingo: è una specie di gioco a pari e dispari.
Il Flamingo è dispari.
Costa dei fiori è pari
Qualcosa da obiettare?
Come sempre vedo facce nuove e facce che conosco.
Dico per dire, perché in verità non capisco più niente, troppa gente.
Questo dire basta e chiudere le porte fa parte di una sindrome complessa che investe vari campi. Ci leggo il desiderio di stabilirmi nelle posizioni raggiunte e di segnare l’orizzonte del mio campo visivo con la consapevolezza d’avere accumulato materiale sufficiente per finire il mio quadro.
Non s’invecchia di colpo, ma attraverso tante stazioni: se questa è una, è la benvenuta.
Quando dipingo ho sempre la possibilità di rinventare il quadro, in qualsiasi momento posso aggiungere o togliere qualcosa, ma a un certo punto devo dire basta, devo espormi al rischio di dire la mia in quel contesto, sviluppando quelle premesse e quei presupposti se no, non finirei mai e non basterebbe tutta la vita per realizzare una sola opera.
Mi sono sempre chiesto quante informazioni, quante esperienze, quanto pensiero, quanto tempo, quanta acqua dovesse passare sotto il ponte prima di poter diventare me stesso.
Certo non si finisce mai di crescere, questo è vero, però, a Dio piacendo, avrei il desiderio di consegnare la mia vita come opera finita e, a voler essere magnifici, rifinita. E allora comincio a farmi i conti in tasca: quanto tempo mi resta? Se non sono eterno, conoscendo la complessità della fase finale di un quadro, stimo che è ora di fermarmi, rinunciare all’inventario delle possibilità di ulteriori sviluppi, allontanarmi di tre passi per riordinare le idee e fare unità di tutto, con coerenza e con bellezza.
In arte è così: si termina un quadro ...e poi se ne inizia uno nuovo.
La gente rientra dalla spiaggia e si dispone intorno alla piscina centrale, al riparo dall’umido che sale dal mare. Comincia ad esserci quel movimento che giustifica, da parte mia, l’impegno del lavoro. Così tiro fuori l’attrezzatura ed inizio la mia performance scarabocchiando alla cieca, alla ricerca di un’idea da seguire, rivolgendo come sempre un pensiero a Dio perché m’assista. Intanto qua attorno si sta creando un bel chiasso, sono arrivati i bambini e i genitori dei bambini che dialogano amabilmente con i loro tesori: - Perché Giovanni non ubbidisci? -
già, perché?
È arrivato Giovanni con mamma e papà. Sentivo la mancanza di Giovanni, meno male che ora c’è.
Ho finito il nero e questo è un problema perché mi serve per contrastare e dar risalto alla luce. Al suo posto ottengo un grigio-marrone scuro, ma non è la stessa cosa, non crea stacco, è fiacco come la mia ispirazione, se così si può chiamare la noia che mi è penetrata nelle ossa con l’umido. Continuo a sporcare la tela, ai clienti racconto che in questo modo vado allestendo il ”cantiere”, che sto organizzando il laboratorio, che porto materiale e preparo la tavolozza, perché ho imparato anch’io a raccontare balle come fan tutti, però in realtà mi sento perso. La fase di costruzione di ogni dipinto passa attraverso questo calvario disperante. Sarà che ormai ho dipinto tutto quello che potevo e sono sazio, che odio ripetermi, sarà che ho esaurito l’energia e la curiosità perché sto invecchiando o che sono insufficienti gli stimoli esterni o è per via di Giovanni: ma è chiaro che è colpa sua! Come cazzo faccio a concentrarmi con questo coglione tra i piedi?
Via, son già le sei passate, il pomeriggio è andato. Meglio riporre ogni cosa, rientrare con calma, cenare e ricaricarsi per la sera. Con automatismo faccio all’inverso le operazioni della mattina, ogni tanto sollevo lo sguardo sulla piscina e all’intorno, per quella curiosità inconscia d’osservare gli altri, valutare se commentano i miei movimenti, se si accorgono della mia stanchezza che cerco in ogni modo di dissimulare: se si accorgono che sono ferito mi ammazzano, la carità anno 2005 ha maturato quest’etica. Mentre son chino con la testa dentro lo stipo per assestare i pannelli, da dietro il muretto del chiosco sento interpellarmi da un tale, mi alzo e accenno un sorriso di disponibilità: - mi dica… - Apprezza il mio lavoro. ”Ma guarda” penso ”è come nei film, a Dio piacciono i colpi di scena, quando si è prossimi alla fine, allora arrivano i nostri.” Senza convinzione, per abitudine, soffio sul fuoco per non farlo spegnere, saggio il terreno, invento li per li qualche frase ad effetto poi, con più impegno, mi spendo per dar ragione del mio lavoro e infine appassionandomi mi lascio trasportare dall’estro e creo musica, perché sono ancora vivo. Alla fine l’uomo mi fa certo che diventerà mio cliente perché si sente del tutto persuaso della validità del mio lavoro. E quando accadrà tutto ciò? chiedo col fiato sospeso
Gaetano è nella sua postazione di guardia sulla torretta, all’ingresso della piscina dell’hotel adiacente la spiaggia, e fa con zelo il suo lavoro che coincide esattamente con quello che ama fare: guardare il mare. Lo guarda tutto il giorno ed è per questo che è diventato un uomo buono, sereno e saggio. Ci intendiamo su molte cose e questo fatto mi è di stimolo e fa si che con lui io parli sempre in modo ispirato e volentieri. Oggi abbiamo parlato, tanto per cambiare, del mare e del nostro rapporto con lui. Io ho detto che il mare, come tutta la natura, è un ottimo maestro perché insegna, in metafora, con lo stesso linguaggio dell’arte, le leggi di Dio. E, per non essere oscuro, ho aperto un piccolo inciso per spiegare cos’è una metafora e cosa è l’arte, per come l’intendo. Allora lui mi ha confidato che l’altra sera, dopo il servizio, è stato un’altra mezzora a guardare quello stesso mare che guarda ogni giorno per lavoro ed io, che sono dispettoso come una scimmia, ho fatto fatica a non dirgli ”stacanovista” che mi veniva così consequenziale, invece gli ho detto ”bravo” e ho offerto il mio sacrificio a Dio, che apprezza queste cose, così mi sono sentito in pace con la mia coscienza e soddisfatto del felice esito di questa amabile conversazione estiva, che altrimenti sarebbe degenerata in una rissa. Quindi ho rimesso la canoa in acqua e in tutta calma ho fatto ritorno a Costa dei fiori per stendere il resoconto di questa giornata. Sono rimasto un’ora fermo a scrivere mentre il sole calava in mezzo al chiasso indiavolato degli uccelli che tutto quello che devono dirsi se lo dicono tra le sette e sedici e le sette e cinquantanove. D’improvviso si tacciono…. Beh? Sono le otto.
Prima di partire voglio assolutamente fare quella romantica escursione al faro di capo Spartivento, restare lassù ore a prendere l’ultimo sole e a guardare l’orizzonte per ricapitolare il mio pensiero e, magari, trovare l’ispirazione per chiudere in bellezza il libro, facendo quello che chiamo il ”punto nave” esistenziale di questa ultima estate.
Si chiude una parentesi e se ne apre un’altra, come con i quadri.
”capire dove si è stati, per intuire dove si andrà.”
Mentre scrivo nelle ore della prima mattina, seduto sotto la palma che guarda la piscina dell’hotel Costa dei fiori, li dove mi ha piazzato il destino, vedo passare sulla mia verticale, a bassa quota, un elicottero antincendio: ai sardi piace scherzare col fuoco. Se ne va su e giù indaffarato e zelante con un minuscolo secchiello da spiaggia, fregato all’angelo di S. Agostino che, sempre con lo stesso secchiello, a suo tempo, sfidava il santo a svuotare con quello l'acqua dell’oceano, per costringerlo a ragionare.
Mezzi sproporzionati e rimedi inadeguati…. Cose ridicole e ingenue per rabberciare inutilmente disastri irreversibili: le cazzate degli uomini.
Ne ho viste molte e direi che ne sono sazio.
Abbasso lo sguardo e incrocio in distanza il sorriso di Matteo, sta venendo da me e pare abbia qualcosa da dirmi
- La famiglia. - dice deciso appena mi è prossimo, sorride e non aggiunge altro.
- la famiglia che? -rispondo io che sto ancora pensando all’elicottero e a S. Agostino.
- è il mio obiettivo. -…ah, capisco…ricordo, gli avevo fatto una domanda…ma guarda…
- …e che significa ”famiglia”? -chiedo di rimando, senza aspettare una risposta
Questa volta, invece,Matteo non ha esitazioni, ha già approfondito per conto suo l’argomento e risponde pronto:
” Protezione”
Lo guardo di traverso, piuttosto sorpreso, e prendo a lisciarmi la barba sul mento, poi allargo le braccia e le lascio ricadere inerti lungo i fianchi come chi si arrende ad un’evidente evidenza
- eh! -sospiro, annuendo col capo- mica sei andato tanto lontano dal centro… -e rimango pensieroso.
Allora, visto che ero in alto mare, in tutti i sensi possibili ed immaginabili, e mi sentivo alquanto frustrato, poiché non c’era nei paragi nessuno con cui prendermela, ho gettato la spugna, mi sono sdraiato e mi son dato per morto per vedere se Dio si spaventava. Attendendo di vedere l’effetto del mio gesto intanto mi domandavo dove avevo sbagliato, senza però venire a capo di nulla e alla fine, stanco di fare il cadavere e preso dalla rabbia per l’indifferenza di Dio, ho dato sfogo al malumore pigliandomela direttamente con Lui: ”senti” ho detto ” ho fatto quello che potevo, l’ho fatto per un senso del dovere, per compiacerti e mi sono spremuto le meningi e ho faticato tutti i giorni per non lasciare le cose a metà, ma se la mia minestra non ti piace (mi sono ricordato questa cosa della minestra) allora cucina tu, io mi arrendo perché mi chiedi sempre troppo.” E mi son messo a sonnecchiare con ostentazione. A cento metri da me è passata una grande vela e se n’è andata, poi in senso contrario ne è passata un’altra, poi è arrivato un elicottero che ha fatto un cerchio su di me che non ho capito e poi non è passato più nessuno e c’è stato un grande silenzio in cui non è successo niente che io sappia. Solo a tratti, trattenendo il respiro, riuscivo a percepire voci rapite dalla brezza alla lontanissima riva o a qualche natante invisibile, voci così flebili da poter essere confuse con altre voci alla deriva, strappate alle rive ancor più lontane della memoria. Sono rimasto così, cullato dolcemente dal mare e mi sono lasciato portare dal vento, andando alla deriva per un’ora con la mente sempre più vuota. Poi ho aperto gli occhi, ho sollevato la testa, mi sono messo a sedere, non troppo sveglio, e ho preso a rimirare la simmetria dei piedi nel loro alloggio a prua, i peli imbionditi delle gambe e le mie mani scure contro il giallo della canoa.Tutt’intorno acqua, acqua, acqua, acqua….Poi ho visto qualcosa galleggiare, con due colpi di remo mi sono avvicinato e ho raccolto una canna.L’ho sollevata svuotandola dell’acqua che la riempiva, invadendo tutti i suoi scomparti come camere stagne di un relitto e, dal foro in testa ho sentito il lieve risucchio dell’aria che prendeva il posto del mare, l’ho immersa ed è uscita l’aria, e poi ancora e ancora, su, giù, dentro, fuori, meravigliato di questo prodigio della fisica ed altrettanto della mia idiozia, ho continuato a trastullarmi con l’insegnamento più esplicito che mi stava impartendo Dio:
Mi offro alla curiosità del pubblico attraverso le mie opere, ma per me lo spettacolo sono loro, le persone.
Le osservo continuamente.
A volte gioco con loro
- Come sono belli i suoi quadri, chissà le quotazioni!.... - esclama una turista
- Ha paura di chiedere il prezzo, signora? Non c’è problema - rispondo
- Guardi, vede quel quadro alla sua destra in alto? ecco quello costa 20.000 euro, quello sotto 45.000 e quello un po’ più grande 60.000 -
La signora si mette una mano sulla bocca per l’emozione e mi guarda per capire se scherzo, ma io non batto ciglio e rimango serissimo.
- Poi, con un po’ di sconto - continuo imperterrito - si può arrivare a 600 euro- piego la testa da un lato -..o a 300, dipende..-
Mi incuriosiscono i comportamenti strani:
Alcuni passando davanti alla mia esposizione, diretti altrove, volgono la testa con curiosità, torcono il collo fino allo spasimo….ma le gambe non si fermano e se li portano via.
Che il tempo passi ce lo ricorda anche lo specchio.
Il Tempo ci opprime con l’esperienza del buio per sospingerci ancora, in un esodo senza fine, verso la luce.
D’istinto fuggo i luoghi chiusi, il nero delle solitudini, le strade senza sfondo e le dissipazioni.
Detesto i capolinea, il non-senso e la fissità della morte.
- Un Sole che sorge verrà a visitarci dall’alto -
Il sè
nella sera
rinchiuso e angusto
ottenebra e allontana.
Il tempo porge al movimento si capovolge la clessidra l'ora segue e termina...
Sacra notte di stupore
e di nevosi inverni
nelle stanze striate di luce
brillano i sorrisi
si ricerca
intimo nel silenzio
l'alta bellezza di stelle.
E cammina solitario
chi
in regime di spirito
sotto cieli aperti
di torridi estati
è fedele all'amore.
Nel respiro del vento
lo sguardo
attraversa l' orizzonte lontano
penetra nel mare
chiaro e scintillante.
Bramosia di splendore
dono che genera
che si fa arcobaleno
grazia leggera
volo.
Ah! Il profumo del caffè!.... Apro il barattolo, aspiro l’aroma e subito sale alla memoria il ricordo astratto di qualcosa di felice e di solare che ha attraversato il tempo e tutte le mie stagioni. Avverto della sensualità in questo odore e se dovessi collocarlo in un contesto vedrei bene una baia serena che racchiude in un vasto golfo, piccole isole abitate, abbracciate da un mare tranquillo inondato di luce, una spiaggia tra le palme, sulla riva una barca di legno e all’interno cespugli fioriti d’oleandro, una capanna di canne e foglie e dentro, in una penombra dorata, striata dal sole che filtra dal tetto, il bel corpo abbronzato e caldo di una giovane donna, adagiata su di un bianco lenzuolo di lino grezzo, in indolente attesa di fare l’amore.
Chiuso nel barattolo a tenuta d’aria, c’è questo sogno che profuma di caffè: un’essenza felice.
La notte dormo bene, rilassato, stirando le membra con piacere ad ogni cambio di posizione. Non ho più avuto attacchi di cervicale e faccio anche dei piacevoli sogni, senza avere più gli incubi delle strade smarrite e della sepoltura. C’è stata un’evoluzione ed era ora: di notte faccio altre cose.
Ad intervalli, dal sonno risalgo alla percezione cosciente, respiro l’aria che entra scostando la tenda, profumata dell’erba aspra ed amara di Sardegna e resto quieto ad ascoltare i familiari rumori della notte, non altro che vento e un modulato stormire di fronde.
Qualche cane abbaia in lontananza.
Senza accorgermene mi riaddormento e continuo il sogno interrotto, come il secondo tempo di un film.
Di giorno non ricordo più nulla, ma appena poso la testa sul cuscino riprendo il contatto con il profondo, ricollegandomi alle atmosfere vissute la notte precedente. S’è stabilito questo automatismo, però tutto deve accadere spontaneamente, non posso anticipare o ritardare nulla.
Così anche di notte continuo a vivere esperienze che mi traghettano al di là dell’ovvio e che trascendono la realtà, rivelandone la dubbia consistenza.
Mentre penso faccio strada nel mare e non m’accorgo della fatica, né del caldo o del freddo. Solo sto attento alle onde quando il mare è mosso, e ai motoscafi che, specie dopo mezzogiorno, solcano nei due sensi l’orizzonte oltre o dietro di me. Dove vadano è un mistero. Sembrano presi dall’urgenza di un’ambulanza e volano sparati verso il nulla. Dopo un po’ li vedo tornare indietro e sparire alla stessa velocità dalla parte opposta, offrendo alla mia riflessione una tangibile ed indovinata metafora della corsa folle e senza scopo della vita contemporanea: quando saremo stanchi di andare avanti nel vuoto dovremo fare altrettanta strada al contrario, solo per guadagnare il punto di partenza, senza aver fatto nessuna esperienza del mare che chiede altri ritmi e ben altra disposizione d’animo.
Tutti mi raggiungono venendo da lontano e mi superano rimpicciolendosi nel blu, facendomi ballare sulle prime tre onde che mi corrono incontro un minuto dopo il loro passaggio. Le scavalco ed entro nella terra di nessuno che sempre si forma nella loro scia. Sembra sia passato un ferro da stiro (e un po’ ci somigliano) che abbia spianato l’increspatura del mare, una corsia larga dieci volte chi l’ha fatta, dove si respira il miasma acido della civiltà.
Passo oltre e punto verso un panfilo ormeggiato al largo del Flamingo. Mi avvicino. In mare le distanze ingannano: a volte sembra d’essere lontani, a volte prossimi a qualcosa che si vuol raggiungere e ci si sbaglia perché manca il confronto relativo.
Buono anche questo dettaglio per un approfondimento.
Quando sono finalmente a non più di cento metri risultano evidenti le dimensioni extra di questa ”barca”.
Quando i motoscafi superano una certa misura e diventano yacht o panfili acquistano una diversa dignità. Non viaggiano più con quella presuntuosa e sbagliata impostazione nautica che fa sollevare la punta e sprofondare la coda, il loro assetto rimane costante e l’armonia della linea non subisce alterazioni. I motori entrobordo non salgono di giri con l’isteria dei cani piccoli, ma brontolano regolari sott’acqua con un suono che culla il sonno e rasserena i sogni.
Queste sono barche che viaggiano e hanno il mio rispetto e la mia ammirazione.
Mi accosto di più, sfilando lentamente di lato. Lo scafo si allunga e si dispone per farsi ammirare in tutta la sua slanciata struttura. Mi avvicino alla grande prua che mi sovrasta con i suoi sei metri fuori acqua. La nave all’ancora oscilla solenne con la cadenza lenta dei leviatani, creando vorticie respiri profondi a prua che, ad intervalli misurati, mostra la grondante prominenza sommersa.
Resto li a due metri dal riflusso, col remo in retromarcia pronto ad evitare guai.
Strano il colore del panfilo, un grigio-verde militare. Ha molti strumenti in vista: radar, antenne, globi di vetro blu che chissà cosa sono, argani e nella veranda a poppa un bianco, grande ombrellone.
Chissà a chi appartiene.
Sento il rombo cupo di un altro motore in avvicinamento. È un grosso motoscafo che si dirige a grande velocità verso di noi. Porto la canoa a ridosso del panfilo perché mi faccia scudo nel caso non mi vedano.
È la guardia di finanza, punta decisamente qui.
A questo punto mi sposto, hai visto mai nasca qualche problema e incomincino a sparare? Con questo Bin Laden del cazzo che non si sa dov’è, non si può mai sapere…. Meglio mettere tra me e i guai una giusta distanza di sicurezza.
Ma la finanza gli gira intorno spumeggiante e com’è venuta riparte a tutto gas chissà per dove: dovrà controllare gli obiettivi sensibili sulle indicazioni telefoniche in codice del ministro per la sicurezza. Così il caro Bin non deve interrompere il suo pranzo a bordo per andarsi a radere di fretta la barba e ordina rilassato il secondo circondato da tante belle femmine col burka che copre solo il loro conturbante viso e lascia il resto tutto in bella vista, secondo l’ultima interpretazione talebana del Corano.
E se non è morto starà sdraiato da qualche altra parte a smaltire una sbornia.
Era sempre li, non si sapeva se vivo o morto, sotto il sole delle due con quaranta gradi all’ombra, a non far niente per tutta l’estate, stravaccato su una seggiola sgangherata, col ventre prominente in bella vista e la testa leggermente inclinata di lato, per quanto gli consentiva la mobilità del collo da macellaio, incassato nel tronco primordiale come un megalite di Sciola. Era incredibile, faceva concorrenza spietata a Venc., non faceva un cazzo molto meglio di lui, con uno stile insuperabile: non si muoveva neanche, stava immobile senza batter ciglio immerso nelle sue profondissime meditazioni per intere stagioni, roba da non credere! Il suo tugurio è sulla statale che porta alle spiagge, sulla via che percorro tutti i giorni e anche ora che è sparito, quando passo di là allungo lo sguardo per cercarlo, tanto mi sembra impossibile la sua assenza: se anche le pietre muoiono e scompaiono che ne sarà di tutto il resto?
Un altro che non fa un cazzo magnificamente è un omino triste che vive accanto al porcile di Venc. Li raduno tutti qui, in questo paragrafo perché si facciano buona compagnia e non rompano i coglioni nel resto del libro che è denso di attività. Lo incontro quando vado e vengo con la macchina: se ne sta sul ciglio della strada a fare niente e a volte lo trovo di spalle che guarda la base di un muro: ”forse sta osservando una lucertola” penso con indulgenza, ma no, non c’è nessuna lucertola. Tiene in mano un bastoncino e ogni tanto lo muove un po’ su e un po’ giù, un po’ su e un po’ giù, con l’aria depressa di una mente che non pensa.
E allora, visto che il mondo è pieno di gente che non fa niente e campa lo stesso, perché devo lavorare io? Proprio ora e con questo sole? Approfitto dell’occasione speciale di questo capitoletto, mollo tutto e me ne vado in canoa: non concludo un cazzo come i miei amici di sopra, ma almeno mi diverto.
- Andate al mare? -chiedo a Mara che vedo già affaccendata in cucina.
- No, dobbiamo fare la spesa e devo cucinare un po’ di roba così domani, quando torneremo dalla spiaggia, non dovrò preparare tutto. –
Avevo dimenticato che la tavola è la loro religione: io sono più frugale, ma li capisco, amo quel proverbio che dice: ” a tavola non s’invecchia”.
Solo mi riesce difficile immaginare mia sorella impegnata, come mi ha detto, nella meditazione trascendentale: prima o dopo i pasti? mi verrebbe da chiederle.
- Fa freddo! -mi dice, stropicciandosi le braccia, facendo con l’espressione della faccia schifata l’imitazione di nonna Jole che le è sempre riuscita tanto naturale.
- La giornata è cangiante e sul mare sarà bello. -pronostico di rimando, dimostrando quel ottimismo che in famiglia mi hanno sempre raccomandato di coltivare.
- ..e a Costa dei fiori si starà benissimo… Se ve la sentite raggiungetemi li.-se mi invidiano un po’ non mi dispiace, per tante buone ragioni.
- Lo sai che Lolly è andata in Israele? -mi fa, seguendo i suoi pensieri.
- con il pericolo che c’è!... – esclama con disapprovazione.
Io sollevo impercettibilmente un sopraciglio ”che c’entra questa cosa?” penso, poi rispondo con un ”mmh” diplomatico, vorrei commentare ”chi gliela fatto fare?” però non so cosa pensa lei e prevale la prudenza.
- …ma Lolly dice che laggiù tengono ai turisti, prima aspettano che tutti i turisti siano partiti e poi combinano i loro casini. – continua rassicurante con quel suo fare a metà tra lo scandalizzato e il divertito che è il suo più paradossale e tipico atteggiamento .
Io, invece, da buon fondamentalista, colgo al solito lo scandalo di questa cinica affermazione:
- è il caos del mondo di oggi, Mara, basta ascoltare un telegiornale….c’è una promiscuità sacrilega di disgrazie e business, e business sulle disgrazie che porta allo sconforto. –
- Si, fa proprio schifo! – conviene anche lei e rifà quell'espressione che, in effetti, mi fa convinto che la pensa proprio così.
Allora mi faccio coraggio e arrivo al punto, quello che da molti anni è il mio chiodo fisso:
- è per questo che sto molto meglio se non accendo né televisione né radio. –
- eh….ma bisogna tenersi informati. -replica lei, mettendo in controtempo i piedi in due staffe ed io che non ho mai posseduto questa disinvoltura continuo invece per la mia strada:
- ma ti sembrano informazioni quel teatrino della politica e degli scoups? Non c’è verità in quest’informazione, solo scopi occulti, manovre e tanta volgarità stupida e rumorosa….secondo me non perdo niente. –
Voglio uscire, infilo la chiave sbagliata nella serratura della grata della cucina, provo l’altra del tutto simile: non entra. Riprovo la stessa di prima: ce ne sono solo due, o è l’una o è l’altra!
- E’ importante sapere cosa accade nel mondo – insiste Mara, chissà perché prende a cuore questa conversazione nata per caso e già incline al malinteso. Ma io non voglio imbarcarmi in nessuna discussione e le rispondo accomodante:
- vuol dire che ogni tanto mi affaccerò a quella finestra. -ed esco.
Caro Max, complimenti per il blog e per il tuo umorismo di stile anglosassone.... direi. E' gradevole leggerti... Sei bravissimo! su Le gallerie.
L'arte di Max Loy è un caleidoscopio di colori, un insieme di fantasia e realtà unite da un sogno di ricerca della bellezza, della serenità,di un mondo fatto di ricordi, di nostalgia,di struggimento per un qualcosa che si spera di raggiungere in un domani e che si augura in un mondo agogn ato fatto di silenzio e meditazione e da sempre ricercato come il raggio verde:la sua ITACA! su Azzurra malinconia
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La Bellezza sfugge alle definizioni, ma quando ci sorprende la riconosciamo immediatamente, con emozione e gratitudine.
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Intervista a Max Loy
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musica di DeAmalia
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Sardegna: cielo, acqua e terra
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Max Loy lives his painting as a dream, loves to paint and painting is his life.The rigor of contrasts and his vibrant stretch alive with intense light his splendid paintings, highlighting his whole inner world.
Dans le temps nous avons reçu comme un cadeau inestimable: la promesse, la route, la force et l'étoile des marins avec une tâche et une mission: rendre témoignage
El hombre en el arte como en la vida más allá de sí mismo, por lo que sus acciones son una alegoría, la inmanencia y la trascendencia juntos. Este es un gran misterio, el único.
la casa e lo studio
...... arredamenti
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.......sculture
Ritratti
....figure dal passato......................... col tasto destro del mouse cliccare sull'immagine e aprire su un'altra finestra - musica A.Vivaldi
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Max Loy, pone alla base del suo manifestarsi estetico – costantemente nutrito da linfa filosofica e umana – la libertà esistenziale, la casualità emotiva, dando vita ad opere nelle quali la schiettezza diviene anche sfrontata pur di evitare l’arido, il freddo e matematicizzato schematismo.
“Filtrato” attraverso esperienze molteplici – nell’ordine: figurativa, surreale, metafisica e astratta – ma coerentemente con il suo credo temperamentale, questo artista nobilita la sua pittura di una tale disarmante sincerità che non gli si può non dar fiducia sulla parola.
tratto da presentazione e critia di Luigi Casieri
Agavi e palme, pallidi fiori di oleandro, zinnie opulente, sassi, rocce, tutto ha significato: nulla è occasionale in questa pittura esatta, come i preludi di Debussy.
Quando la pittura impone un discorso e schiude l’anima alla meditazione, allora è pittura.
Giuseppe Pau
Abbandono
......c’è una quiete così appagante dove l’uomo si può fondere come unità completa facendo tutt’uno per sciogliere, diciamo, questo cantico di lode dell’essere provvisorio che chiede nel definitivo un pieno appagamento e la realizzazione di se stesso
tratto da Presentazione e Critica di Raffaello Borsetti
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Belli, eleganti e nuovi ....
........i lavori su fondo oro, ricchi e vari nei riferimenti mitologici e storici, ricercati e preziosi nella composizione e nella tecnica.
La pittura di Max Loy è molto meditata, aristocratica, misurata, concisa, ma anche di intelligenza universale e molto accattivante e gradevole nelle cromie, nei soggetti e nelle ambientazioni.
Piero Tartaglia.
l'attualità...........
esprimere l'inesprimibile
La tecnica del pittore non si allontana dalla sua vocazione di libertà e si sostanzia – sui legni preparati in varia guisa – di imprimiture di differente mistura, si aggettiva di dolci velature, si arricchisce di lunari effetti di corrosione, nervosi graffiti, specchianti o ruvide superfici che fanno pensare, rispettivamente, a luminosi piani plasticati oppure ad abrasi calcari.
tratto da Presentazione e Critica di Luigi Casieri
“Siamo di fronte ad una pittura che prende, affascina, coinvolge e che dona cascate d’emozioni fino a stordirci. "