tutte le immagini dei quadri, delle sculture ed i testi tratti dai libri dell’artista sono © di Max Loy


..."Il raggio verde è una luce visibile per brevi secondi nelle chiare serate estive, subito dopo il tramonto del sole.

In metafora è qualcos’altro di più significante, una luce interiore che va cercata lì dove ha dimora: nel silenzio.



raccolta di immagini, testi e pensieri di Max Loy ...

e di quant'altro attinente alla sua arte

.

..........................Informazioni personali......................... M A X . L O Y

La mia foto
Studio: via Abbi Pazienza 14 – C.A.P. 51100 Pistoia cell. 3389200157 mail - info@maxloy.com

In these paintings of mine there are two different elements: colour and shape, casualty and organization, intuition and recognition. Two different types of music combining melody and a countermelody evoking the marvel of a stereophonic listening.


ACCOMODATI, SEI IL BENVENUTO !

Introduzione alla Sua arte

Esposizione virtuale delle opere di Max Loy.

“E’ così: ogni azione e ancor più manifestamente quelle dettate dal sentimento, affondano le radici in una regione misteriosa dalla quale ogni gesto assume un significato trascendente che è caratteristico della figura dell’uomo: egli trascende se stesso, così le sue azioni sono allegorie, immanenza e trascendenza insieme.

Questo è un mistero grande, l’unico.”

data inizio blog: 8 ottobre 2009


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lunedì 30 novembre 2009

Ore 10 - dal libro "Costa dei fiori"



Ore 10.

Sono seduto all’ombra di una palma che, mentre scrivo, proietta sul foglio stilizzate ombre striate, intrecciate e soavemente ipnotiche per un lieve tremolio in risposta alla brezza marina. Se ora le disegnassi qui, sulla carta, seguendone i contorni mobili, ritroverei le linee che da tempo vado tracciando nei miei quadri, quelle scansioni che separano spazi e creano frammentazioni e disegni che non si sa cosa siano, né da dove vengano. Mi verso un bicchiere d’acqua per una pausa contemplativa. C’è silenzio. La gente sparsa qua e là tra le piante e i cespugli d’oleandro, appartata, riposa sonnolenta. Mi giungono a tratti voci che si fondono in armonia con il sommesso cinguettare di uccelli nascosti e dei passeri che, da mattina a sera, piroettano tra le fronde o ruzzolano sull’erba umida d’innaffiatura. Intorno a me fiori d’ibisco rossi e d’oleandro rosa e albicocca, cespugli di rigogliosa buganvillea viola e scarlatta, il verde tenero dell’erba e quello variegato degli alberi, delle palme opulente, perfette per la simmetria palladiana, la trasparenza fragile delle mimose presto in fiore, la familiarità del pino marittimo e, in distanza, lo svettare selvaggio dei grandi eucaliptus amici del vento, posti a protezione di quest’oasi in riva al mare che intravedo in distanza, in un riquadro d’azzurro che calamita lo sguardo. A destra, dieci metri da me, i quadri oscillano leggeri, appesi alle catenelle dei cavalletti in semicerchio. Li scopro bellissimi, perfettamente integrati con la natura. Aggiungono mistero e suscitano un inspiegabile sentimento struggente che cerco di capire se sia un mio stato d’animo o emani da loro. Meritano certo più di un’attenzione distratta, chiedono tempo e contemplazione perché il loro linguaggio, dai toni sommessi, ha intensità volatile come il profumo dei fiori di questo giardino, profumo d’estate, essenza, elisir esotico di felicità. Niente di corporeo, niente di ovvio, niente di statico e di plausibile: sono altro, sono sempre altro…. retrogusto della materia dal sapore asciutto e leggermente alcolico che rivela la presenza dello spirito.

Risvegli - dal libro "Costa dei fiori"


Risvegli


Questa mattina, al risveglio, socchiudendo gli occhi valutavo la luce che illuminava la stanza, dove dormo sempre con le finestre aperte, tentando una stima dell’ora. Non era la solita luce rosata del primo mattino, mancava il sole, il cielo era nuvoloso. Non faceva nemmeno caldo e la novità mi ha messo il buon umore. Dopo un mese fatto di giorni tutti uguali, anche la diversità di una giornata stupida così, mi ha fatto piacere.

Non era cielo da pioggia, qui non piove mai per principio, era coperto e basta. Non era nemmeno umido. Questo invece è insolito perché, da queste parti, o c’è il sole che spacca le pietre o si addensa una foschia appiccicosa che smorza la tavolozza accesa dell’estate, rende il respiro faticoso e toglie le forze e la voglia di pensare. Si può solo dormire, se ce la si fa.

Ma questa mattina non era così, l’estate pareva al giro di boa, segnava una svolta con una giornata di transizione.

Io sono attento a queste cose, fiuto l’aria che tira, come si dice. Non che m’interessi la meteorologia, piuttosto quel certo ché di presagio di cambiamento che è percezione palpabile del tempo che passa.

Il tempo che passa mi interessa molto.

Da recensioni: 1977

Lo studio
[...] Ho conosciuto solo recentemente Max Loy e mi sono trovato di fronte ad un pittore e ad una pittura veramente straordinaria.
Entrando nel suo studio mi son sentito sommerso da un’ondata di immagini, di impressioni, irretito in un’atmosfera carica di emotività elettrizzante; non ho potuto restar seduto, ho dovuto girare per lo studio e per la casa, guardare, saziarmi di colori, riempirmi di emozioni, rasserenato dal commento pacato del pittore e di sua moglie sorprendentemente in contrasto con le violenze accese della tavolozza.

Ugo Cavallero

La casa

venerdì 27 novembre 2009

Due parole preliminari - dal libro "lezioni dal vivo"





Quando fissiamo sul cavalletto una tela, così come quando spianiamo davanti a noi una pagina di quaderno non siamo, come può sembrare, all'inizio di un'opera, ma alla fine.
Infatti non potremmo iniziare nessun lavoro, non potremmo concepire un bel niente di significante se non avessimo portato a maturazione quell'enorme e sempre misterioso processo di crescita che consiste nell'accorgerci che stiamo vivendo.
Non è esatto nemmeno dire che l'artista crea qualcosa. l'artista non crea nulla dal nulla.
Questo lo ha fatto solo Dio..e superbamente, da Dio.
L'artista rielabora la creazione, e non tutta la creazione, solo quel po' che entra nel suo piccolo orizzonte culturale, coniugando il retaggio del sangue e della civiltà alle esperienze della sua particolare e privata esistenza.
Comprendere questo dispone l'animo in un'atteggiamento molto simile all'umiltà che, d'altra parte è segno d'ogni umana grandezza.
Curiosamente l'artista, nell'investigare la vita, si troverà impegnato in un compito contraddittorio: testimoniare l'unità divisa, convivere col paradosso.
La cifra dell'Arte è infatti ambivalente e paradossale così com'è la vita, mentre la vocazione , il compito ed il fine d'entrambe è di ricondurre ogni antitesi ad un centro di gravità soprannaturale in cui converga l'intera realtà.
Questa vocazione viene da un altro mondo ed è sentita dall'artista come "tensione" e vissuta come "ricerca" che si affaccia sul Mistero, ma che si ferma sul ciglio di un abisso: la morte.
La vita e la morte, questo insondabile mistero, cassa di risonanza imprescindibile d'ogni opera d'arte.
Il Mistero è un tempio dove Dio e l'uomo abitano insieme.
L'Arte parla il linguaggio dell'anima con parole fatte di terra.


mercoledì 25 novembre 2009

Da "Frammenti"

Lumi accesi al crepuscolo
nell’acqua accennata

Bagliori abbagliano
i colori si disperdono
Navigano anch’essi nel mare
percepito lieve
non visto

Riflessi che si confondono
Continuamente
e solo quella piccola
barca abbandonata
ricorda ancora il mare.

Mariella Murgia

Tratto da .... IL DINAMISMO ESPRESSIVO DI MAX LOY. 1978



..........Il vero protagonista delle opere di Max Loy è il colore che, limitato da segni essenziali ed incisivi, animato dalla luce, diventa energia pura che esplode sulla tela con forza primitiva, con la violenza dei sentimenti grandi ed assoluti come l’odio e l’amore, come un presagio di vita o di morte, come una carica di erotismo e di passione.
È semplice e stimolante colloquiare con queste opere che ricercano nei segreti dell’anima la loro carica vitale, nel mistero della vita il loro significato più autentico.e in questo senso il colore acquista il sapore ed il potere della vita, perchè ritrova in sè la facoltà di agire “in virtù di un suo principio interno”, riuscendo a trasmettere emozioni, stimoli, sensazioni.

Le opere pittoriche di Max Loy hanno una ricchezza ed una vivacità di ritmi che incantano: le masse e i volumi si alternano armonicamente, i segni e i colori vivono sulla tela in perfetta simbiosi, nel senso che si scambiano reciproci vantaggi, dando vita ad un dinamismo espressivo e cromatico fatto di istinto, di passionalità, di autentica creatività.....

di Anna Iozzino Ruocco

A proposito di solitudine.....


Nicola Abbagnano, afferma che: " La solitudine deve essere vissuta nello spirito di un esistenzialismo positivo, dove l'uomo è possibilità, progettualità aperta sul mondo, norma a se stesso, lettura interiore dei suoi possibili che nulla hanno a che vedere con lo sguardo estetizzante, narcisistico, ripiegato su se stesso dell'intimismo, ma anche con forme di solitudine negativa (il nulla, la nausea, lo scacco o naufragio).L'uomo è, dunque, colui che ha capacità di scelta, che si concretizza in un compito, in una missione quotidiana con tutte le sue conseguenze etiche ed esistenziali: la vita come dubbio, come continua rimessa in discussione dei dati acquisiti, come impegno, sforzo, faticosa conquista.La solitudine, come introspezione, scavo interiore, duro lavoro di dissodamento dell'anima, viene a delinearsi, in ultima analisi, come continua riapertura degli occhi, come "dilatazione delle pupille" su ciò che si deve fare e si deve essere.Insomma, la solitudine non è affatto fuga dalla realtà, ma una forma di isolamento positivo, un ricrearsi un proprio spazio interiore, un ri-spalancare gli occhi su se stessi per riflettere, al di là delle abitudini, delle opinioni che presupponiamo consolidate, sugli interrogativi di fondo dell'esistenza, per poi riaprirsi al mondo carichi di energie positive.

Fabio Gabrielli

Fabio Gabrielli - Insegnante di filosofia e storia nei licei tiene seminari di antropologia filosofica. Conferenziere e opinionista televisivo presso Espansione TV di Como.

Nicola Abbagnano - filosofo italiano esistenzialista positivo

venerdì 20 novembre 2009

Tratto dal libro "Il testamento di Gesù" di Romano Guardini - Vita e Pensiero

IL SILENZIO

Ciò che il silenzio non è: non è esclusione pura e semplice di parole o di rumore. Silenzio non vuol dire esclusivamente che qualche cosa manchi - quasi mera lacuna tra discorsi o rumori - ma comporta un elemento positivo.

Beninteso, bisogna anche saperlo sentire come tale.

Sovente, nel corso di una conferenza o di una cerimonia o di una qualunque manifestazione pubblica, accade che si improvvisi una pausa. Allora si osserverà quasi immancabilmente che, subito, uno tossisce o si muove: sente il silenzio come un vuoto e vi pone un'azione qualunque. Il silenzio non era per lui nient'altro che una mancanza, un difetto, e suscitava in lui un senso di disordine o di disagio.

In realtà esso è un dato pieno e fecondo. E' la pace della vita interiore. E' il riposo dei valori più intimi. E' trepida presenza, dedizione, premura. Nulla di cupo nel silenzio, nessuna espressione di ignavia, nessun gravame d'indolenza. Tutto è vigile, tutto è pronto.

Il silenzio non dev'essere unicamente esteriore, come là dove nessuno parli e nessuno si muova. Tutto ciò, infatti, si può benissimo avere pure con il tumulto nell'animo. Reale silenzio importa che anche i pensieri, i sentimenti, il cuore siano in pace. Reale silenzio deve dominare lo spirito e penetrare sempre più nel profondo dell'animo, né alcuno mai seppe dire come sia possibile toccare un limite in questo campo, tanto sfugge a ogni misura il mondo interno.

Se poi si cerca di creare questo silenzio interiore, s'intravede subito che non è affare di un momento. Non basta quindi volerlo, ma lo si deve esercitare.

Abbiamo fatto parola di vigilanza. Ora ecco, proprio,qui, nella vigilanza, il segnacolo del silenzio che ci interessa: del silenzio al cospetto di Dio.

lunedì 16 novembre 2009

L’appuntamento - Dal libro "Destinazione Itaca"



L'appuntamento

Me ne vado, non posso cambiare il mondo, ma andarmene sì, c’è ancora il mare, l’ultimo deserto di silenzio. Esiste un antico detto del popolo tuareg che dice: “Dio ha creato la terra con i fiumi ed i laghi perché l’uomo possa viverci e il deserto affinché possa ritrovare la propria anima”. Bellissima immagine di una tradizione ispirata dal silenzio della sabbia. Quant’è distante dalla nostra civiltà del rumore! Vado al mio appuntamento con il mare dove, a due miglia dalla costa, attendo Dio che mi viene incontro camminando sull’acqua, sotto forma di vento leggero, epifanico. L’operazione che d’abitudine faccio di pulirmi i piedi dalla sabbia lavandoli nell’acqua è diventata rito purificatorio, anatema contro l’ubriachezza della civiltà, segno di resa, abbandono: io parto e non porto nulla con me, entro nudo nella sacralità del mare. Il mare oggi è calmissimo, potrebbe essere una di quelle giornate in cui a metà mattina sale dall’acqua una nebbia luminosa che gonfia veloce e inghiotte tutto, un pericolo per chi è al largo perché perde la guida del sole ed ogni altro punto di riferimento. Il rischio del labirinto è l’insidia che più temo. Sarò vigile, valuterò i segni. Remo con movimento fluido scivolando su un’acqua ferma che allarga cerchi al taglio di prua che plana leggera, senza peso. È sensazione incantevole, il mare scorre sotto di me e intorno ai miei fianchi, a poppa si allontanano silenziosi simmetrici vortici: la pagaia entra ed esce con angolo esatto, senza uno spruzzo e senza rumore. Sfilano ai due lati pulviscoli d’alga, minuzie leggere in balia delle correnti e del vento. Mi chiedo, impaziente, quale sarà la lezione di oggi, perché mi sono abituato, da estate a estate, a queste meditazioni a tema che m’ispira il viaggiare sul mare, le chiamo con rispetto “parusie”, manifestazioni divine, eventi, incontri, perché in questo silenzio mistico è più facile credere e toccare con mano il Mistero. Sono solo, completamente ed assolutamente solo in un deserto d’acqua luminosa e felice, galleggio come in volo su una profondità sconosciuta portato in braccio dagli elementi, sicuro come un bambino in braccio alla madre e come un bambino mi sento amato: è molto per un uomo, troppo per un artista. Cedo alla commozione, ringrazio, benedico, sorrido. Remo senza stanchezza, le correnti disegnano laghi e fiumi variando la luce sullo specchio dell’acqua, percorro regioni, plano su continenti: il fondale è perso nel blu. Vado avanti, l’appuntamento è fissato alla boa: laggiù, a congrua distanza dal mondo è il luogo propizio all’incontro. Devo strizzare gli occhi, aguzzare lo sguardo che non vede più come un tempo, si è consumato nel guardare lontano, ora è più avvezzo al presente, legge nelle vie della mano i segni del cuore, fa credito al futuro, meno attento al pronostico. Ma ora si, vedo sopra l’orizzonte un incerto puntino, cinquecento metri al giro di boa: è l’ora. Per tutto il tempo ho tenuto lo sguardo sull’acqua giocando a volare, ora voglio capire. Intanto remo perché ancora non sono sul punto, la chiesa ha una porta e si entra per quella. Le risposte alle mie domande devono affiorare spontaneamente alla coscienza, è la mia prova del nove sull’esistenza di Dio e Dio acconsente a che io ponga ragionate e rispettose condizioni, si presta al gioco, non si sottrae.
Ed eccomi in porto, la mia parte l’ho fatta, sono stato ai patti, ho messo di mio la fatica.
Tendo l’orecchio…


....Indistinta si afferma una voce, scrive nel cielo una frase.


Avviso ai naviganti - dal libro "Destinazione Itaca"



Quando volgo lo sguardo al passato e considero la strada percorsa, rimango perplesso, temo che chi mi ha conosciuto allora non mi riconosca oggi.

Io sono ben consapevole di aver percorso tutta la strada a piedi, guadagnata metro per metro, ma nonostante ciò, dopo tanto tempo mi ritrovo talmente lontano dal punto di partenza da provare quell’inquietudine senza volto che è l’esistenziale paura di essersi perduto ...inquietudine che accompagna ogni navigazione d’altura.

Così ho affisso un monito sulla barra del timone come pro memoria per il resto del viaggio:


Avviso ai naviganti.


Quando si viaggia intorno al mondo ogni tappa si colloca in un punto diverso e, arrivati che si è agli antipodi, non si può accusare d’incoerenza la strada solo perchè si è dimenticato il percorso.


Lo lascerò a chi, dopo di me, intraprenderà la stessa impresa.

"Andate a lavorare.." - dal libro "Destinazione Itaca"



“Il padrone di un campo vedendo degli uomini oziosi seduti in piazza disse: - andate a lavorare nella mia vigna, poi quanto è giusto, ve lo darò. -“



Il mio antidoto contro la depressione è il lavoro: io lavoro sempre, continuamente e non stacco mai la spina perché non posso e non voglio.
Lavoro a tutte le ore del giorno e della notte, tutti i giorni dell’anno e per 56 giri della terra intorno al sole non mi sono mai concesso una vacanza. Il mio lavoro è pensiero in primo luogo, in secondo comunicazione.
Sono un artista, uno dei tanti, preso ancora bambino tra quegli uomini che oziavano in piazza. Lavoro sereno, certo degli accordi di ingaggio, in attesa di ricevere da Dio, alla scadenza del tempo, quello che è giusto, senza fare commenti.
Ho atteso con impazienza di raggiungere questa età per due motivi: il primo è che lavorare stanca, il secondo è una questione di decenza: non si può chiedere lo stipendio il primo giorno d’impiego. Non voglio dire con questo che il mio giorno lavorativo sia finito, non sto pregustandomi una pensione che non è mai stata contemplata quale traguardo. Lavorerò fino all’ultima ora, è chiaro. Intendo altro.
I segni dei tempi e l’ora del giorno li calcolo dalla corsa del sole ed ora che il suo arco è più basso sull’orizzonte, dove ho sempre l’occhio in attesa, ora che la luce aranciata ammorbidisce i contrasti del mondo, capisco che è l’ora propizia per completare il lavoro di questa lunga giornata, per non arrivare impreparato e trafelato a sera.
Cosa che non mi piace.
Amo l’ordine e le cose compiute: una bella e netta parabola, da li a là.
Basta.

“Cosa c’è nella testa di un artista?” - dal libro "Destinazione Itaca"




Bella domanda!


C’è una domanda che mi hanno fatto tutti: “Ma lei cosa pensava quando ha dipinto questo quadro?”


“cosa c’è nella testa di un artista?”


Comprendo ovviamente il perché di questa domanda, diciamo che è legittima curiosità, diciamo pure che è segno di attenzione nei miei riguardi, assomiglia all’insistenza con la quale anch’io mi rivolgo a Dio per farmi spiegare cosa diavolo gli passa per la testa quando dice che i suoi pensieri non sono i miei pensieri, ma Lui non mi dà retta e mi risponde con una battuta: “ti basta la Mia Grazia”. Poi siccome insisto si scoccia e aggiunge brusco: “Questa generazione chiede un segno? Ma non ci sarà un altro segno…”

In effetti anch’io, per altri motivi, mi devo togliere d’impaccio ogni volta facendo lo spiritoso ed il vago perché è veramente cosa impossibile dar conto e introdurre un estraneo all’interno di un processo creativo personalissimo, è impresa incommensurabilmente vasta e articolata come lo è fare il punto nave esistenziale: difficile come un esame di coscienza.


- La risposta la porto scritta in faccia - dico - leggetemi lo sguardo. -


Tentare da lì, a ritroso, di disegnare la mappa di tutte le istanze connesse al risultato è avventura che espone a certo naufragio, ma è anche vero che quando si va per mare si confida sempre in una buona stella.

Senza questa fiducia, del resto, non si farebbe neanche un passo fuori di casa, così mi sono chiesto: perché non provarci?

Queste imprese, nonostante tutto, per me sono prassi: il pane quotidiano lo guadagno così.



Consuntivo


È passato circa un mese da che ho chiuso la partita e in questo tempo mi sono occupato d’altro mettendo tra me e quest’opera una certa distanza. La vita l’ha superata, ovviamente, e me l’ha resa estranea ed opaca ad una lettura ordinaria. Se questo libro ambisse a meriti letterari ora farei come quando dipingo, comincerei a pulire le zone del quadro troppo cariche di segni, aprirei squarci d’azzurro nella densità aggrovigliata dei colori lasciando trasparire la luce e di tutto il faticato lavoro di costruzione rimarrebbe ben poco. Allo stesso modo ora riguardando le cose che ho scritto potrei sfrondare capitolo dopo capitolo tutte le impalcature e le digressioni tenendo unite in un florilegio profumato solo le parti innamorate più intimamente connesse al tema legandole per assonanze e ritmi come in una composizione poetico-musicale. Lo scheletro, gli organi interni e con loro tutta la scienza, il metodo e la ricerca scomparirebbero alla vista sotto strati di pelle vellutata come dopo una nevicata alpina. Di tutte le asperità del percorso si percepirebbero solo ovattate ondulazioni con ombre azzurre e tutto risplenderebbe moltiplicando la luce. Come leggo in uno slogan affisso sulla porta di una chiesa, resterebbe solo ciò che è stato fatto per amore: “panta rei”, tutto passa, anche la Fede e la Speranzala Carità è eterna. passeranno, solo

Di norma miro a questo, al sentimento, quando con un largo pennello ricopro di colori chiari ogni parte faticata e affaticante, sono infatti concettualmente prossimo al paradosso della tela bianca e come traguardo ultimo e desiderato, al silenzio che forse è approdo d’umiltà situato all’altezza del monte delle beatitudini, una sola spanna sotto i piedi di Dio.

Di questo libro salverei pochi passi ricercati, densi e nitidi e consegnandolo al mondo così, breve, vuoto e pregnante, lo raccomanderei come faccio con gli ultimi quadri “alla cortese attenzione” dell’amore che penetra i misteri di luce, capace di riconoscere in un’ostia la Maestà di Dio.

Ma sicuramente poi mi sentirei rifare la domanda: “Ma lei cosa aveva in mente?” e non avrei concluso nulla.

E allora quest’opera, così come la lascio nel disordine organizzato di un laboratorio, con l’impronta del gesto rapido e dell’estemporaneità che ben rappresentano il mio attuale modo di dipingere, sia la necessaria e calzante risposta.

È anche un dovere verso me stesso: è difficile far credere altrimenti a chi non è del mestiere che in un fondo azzurro solcato da poche sconnesse pennellate variopinte sia visibile e testimoniata un’intera vita di ricerca, più difficile che risalire da una ruga impressa su un volto alla vicenda che l’ha disegnata.

E sia quella ruga la piega di un sorriso.

Ancora guardo - dal libro "Destinazione Itaca"






Ancora guardo


Ancora guardo, come è ovvio vedo le solite cose e questo anche se non è granché stimolante, rasserena l’anima che chiede continuità.

Se tolgo gli occhiali vedo contorni sfumati, perdo i dettagli, non distinguo le fisionomie ma i colori, le forme e le luci lasciano più margine all’immaginazione che prende il mondo a pretesto per inventarne un altro.

E se provassero a togliersi gli occhiali… non sarebbero più felici gli uomini?

Accade poi che con lo sguardo ci si volga intorno distratti dal nostro pensiero latente. L’occhio guarda lontano, evita le evidenze opprimenti, indaga le cose minime che increspano la superficie, in distanza, poi torna a meditare sulla direzione dei passi, sull’asperità del terreno, sulla strada da prendere, sulle soste, sulla polvere. Nell’incertezza, nel dubbio che sempre ci accompagna ci è amico un cartello stradale ed ogni scritta che voglia comunicarci qualcosa che sia ponte tra noi e l’ambiente, presenza, ologramma di altri passaggi, di altre storie, di altri passi.

Ci attrae il movimento, ciò che cambia abitudine e dimora: ci si volta per un suono, siamo attenti ai rumori lontani, da decifrare, alle voci. Altre ne sentiamo dentro, indecifrabili.

Cerchiamo fuori la risposta alla domanda che ci urge dentro mentre viaggiamo sulla rotta per Itaca.

Ed io lascio spazio a questo errare vagabondo dello sguardo, lascio che si affatichi nelle distanze, che penetri i dettagli del presente, soffermandosi ad ispezionare con mano la porosità del colore, la linea di frattura della vernice, l’irraggiarsi delle crepe che son segni di terra, oroscopi dello zodiaco, lascio che s’incanti per il trascolorare del giallo nell’arancio, nel rosso, nel violetto e nell’azzurro, come davanti al tramonto sul mare.

Ora, sdraiato sulla sponda del mare, guardo gli scogli, tocco la sabbia, scavo col piede la ghiaia che borda la riva, dove miliardi e miliardi di tessere dai colori più vari inventano mosaici che non si ripeteranno mai e che registrano l’impronta di un passo, i miei passi verso Itaca a sera.


C’è una nave ferma in mezzo al mare, il suo equipaggio guarda verso terra: da un capo all’altro del mondo, su opposte rotte, le attese s’incontreranno all’infinito, sulla linea curva di un orizzonte.




domenica 15 novembre 2009

11 settembre - dal libro "Destinazione Itaca" - Dedica



11 settembre


Cari figli, Chiara e Diego, questa mattina mi sono svegliato alle sei dopo una notte afosa piena di sogni e ho guardato l’ora sul cellulare e così ho letto anche la data: non è un bel giorno.

Poi ho pensato che nulla accade a sproposito e che il ricordo di questa giornata, passata alla Storia come il giorno della BESTEMMIA, servirà da sottolineatura a contrasto di questi miei scritti che dedico a voi, come altri in passato, quali eredità etica di pensiero: la mia strada dopo cinquantasei anni di cammino mi ha portato da queste parti e vi voglio mostrare il panorama interessante che sto guardando.

Dicevo una volta a Diego che mi figuravo la vita divisa in tre stazioni: l’età del corpo, quella della mente e quella dello spirito. È la mia mania di ridurre in schemi la complessità intrinseca dell’avventura esistenziale per riuscire ad orizzontarmi in contesti sempre ampi, articolati, fluidi e multidimensionali.

Se l’avessi trovata sarei stato felice di consegnarvi una formula pronto uso da spendervi nella vita, una specie di pietra filosofale come viatico. In mancanza di ciò da tempo ho pensato di lasciare cadere dietro me le briciole del pane che mangio mentre cammino per far crescere in voi l’istinto logico del seguire una traccia e la voglia di esplorare: sono le passeggiate che ho sempre immaginato di fare insieme.

A ben guardare nel vissuto di tutti, le occasioni per incontrarsi in piena serenità a quel livello desiderato di un abbraccio affettivo maturo e significante non sono mai molte e, aggiungo, mai troppe. So bene che le cose che scrivo non vi risulteranno nuove, ci mancherebbe, ma credo che un conto sia respirare un’atmosfera culturale e un altro meditarla nei suoi argomenti in dettaglio. Questo dunque è il regalo: vi lascio la chiave del mio laboratorio dove ho passato tutta una vita senza mai annoiarmi, inventando un sacco di cose utili, divertenti ed anche belle che ho usato come promemoria per tenere a mente gli impegni di viaggio.

Voi penserete segretamente: “..Però! …così siamo belli e fregati! Soldi niente e al loro posto parole e raccomandazioni…”

Avete ragione.. ma provate a discuterne con Dio che mi ha rifilato a sua volta lo stesso pacco: o è stato mio padre? Nel dubbio mi è toccato dire due volte grazie.

Alla vostra età non l’avevo presa bene, ero anch’io “segretamente” piuttosto interdetto e vi avverto, non perdete tempo a trafficare per ripicca un talento che non vi è stato donato: le fortune, in senso lato, si consolidano solo partendo da un’eredità ricevuta. Ci si sposa per questo, per mischiare un po’ il mazzo di carte del gioco: mamma che viene da un’altra storia, per esempio, ha un retaggio diverso e vi lascerà altre utili raccomandazioni, così farete il pieno, confidate in lei.

Ma non voglio infierire… è vero, ricordo che ai miei esordi nella vita ero molto preoccupato, vedevo che tutto girava intorno ai quattrini… Poi però, dopo aver considerato come andavano le cose nel mondo, ho tirato per tempo le somme e mi sono persuaso che per chi viaggia, una bussola è più indispensabile di molte provviste.

…E poi avere un laboratorio a disposizione in fondo è stato il mio sogno di bambino: disporre della scatola completa di tutti i pezzi del “meccano”!

Con il senno del poi, regalo più bello per voi non saprei adesso proprio immaginarlo.

Ve lo consegno bene ordinato con tutti i pezzi al loro posto: pensate, dopo tanto tempo, papà ha conservato in testa ancora tutte le rotelle!

C’è una legge della fisica che dice: “nulla si crea e nulla si distrugge: tutto si trasforma”.

Fatene quel che volete e divertitevi senza forzare gli incastri quando non combaciano e… …occhio agli anacoluti, la vita, sapete, è una patente a punti…

Papà.

sabato 14 novembre 2009

Sogno di una notte di mezz’estate


http://www.youtube.com/user/maxloy1950#p/a/u/2/mJaIREsrsRU



Fa il suo ingresso la cantante e, come una gatta, si accoccola sull’alto sgabello, poi con un sorriso saluta il pubblico raccolto ad anfiteatro intorno alla piscina: cena a lume di candela tra le palme dell’hotel Costa dei fiori.

In alto, nella profondità silenziosa del cielo notturno, occhieggiano a migliaia le stelle.

Vedo questo a colpo d’occhio, al mio ingresso, scendendo quattro scalini come un introito alla festa perenne che vive in questo eden magico e remoto, sorto come un miraggio strano in riva al mare, perso tra campagne deserte, bruciate da secoli di sole e di vento.

Mi accomodo in un tavolo, in disparte, scegliendo per istinto quell’angolazione, quel taglio particolare che ho dato alla vita, la mia vita d’artista: la lontananza.

Nell’aria le note di una vecchia canzone di John Lennon “immagine”


“…immagine all the people living life in peace…”


Laura, la cantante, mi fa un cenno di saluto.


15 agosto, chiave di volta dell’estate.

Ho negli occhi una folla itinerante, riunita al tramonto sulla spiaggia di Nora per la festa dell’Assunzione.

- Mettete un po’ di spiritualità nella vostra vita!- predicava un sacerdote dagli altoparlanti che portavano le parole lontano, sul mare, alle barche spettatrici di un evento propizio: una benedizione a cielo aperto data dalla terrazza sopraelevata di un bar.

Un annuncio di pace per tutti.


“immagine all the people living life in peace”


“you maysay I’m a dreamer..”


“…mi dirai che sono un sognatore….”

Salvare il sogno è una missione, penso, sorpreso dal crepitare festoso dei fuochi d’artificio che disegnano nel buio quelle strane figure astratte che traccio di continuo nei miei quadri…e che i bambini capiscono.

Bellezza dell’effimero, rifletto, con nel cuore la benedizione sulla spiaggia nel giorno 15 del mese d’agosto, centro dell’estate, festa condivisa e moltiplicata dalle fiaccole che brillano sui cento tavoli che fanno corona intorno a me e che animano la notte di un sommesso brusio d’attesa.