Ancora guardo
Ancora guardo, come è ovvio vedo le solite cose e questo anche se non è granché stimolante, rasserena l’anima che chiede continuità.
Se tolgo gli occhiali vedo contorni sfumati, perdo i dettagli, non distinguo le fisionomie ma i colori, le forme e le luci lasciano più margine all’immaginazione che prende il mondo a pretesto per inventarne un altro.
E se provassero a togliersi gli occhiali… non sarebbero più felici gli uomini?
Accade poi che con lo sguardo ci si volga intorno distratti dal nostro pensiero latente. L’occhio guarda lontano, evita le evidenze opprimenti, indaga le cose minime che increspano la superficie, in distanza, poi torna a meditare sulla direzione dei passi, sull’asperità del terreno, sulla strada da prendere, sulle soste, sulla polvere. Nell’incertezza, nel dubbio che sempre ci accompagna ci è amico un cartello stradale ed ogni scritta che voglia comunicarci qualcosa che sia ponte tra noi e l’ambiente, presenza, ologramma di altri passaggi, di altre storie, di altri passi.
Ci attrae il movimento, ciò che cambia abitudine e dimora: ci si volta per un suono, siamo attenti ai rumori lontani, da decifrare, alle voci. Altre ne sentiamo dentro, indecifrabili.
Cerchiamo fuori la risposta alla domanda che ci urge dentro mentre viaggiamo sulla rotta per Itaca.
Ed io lascio spazio a questo errare vagabondo dello sguardo, lascio che si affatichi nelle distanze, che penetri i dettagli del presente, soffermandosi ad ispezionare con mano la porosità del colore, la linea di frattura della vernice, l’irraggiarsi delle crepe che son segni di terra, oroscopi dello zodiaco, lascio che s’incanti per il trascolorare del giallo nell’arancio, nel rosso, nel violetto e nell’azzurro, come davanti al tramonto sul mare.
Ora, sdraiato sulla sponda del mare, guardo gli scogli, tocco la sabbia, scavo col piede la ghiaia che borda la riva, dove miliardi e miliardi di tessere dai colori più vari inventano mosaici che non si ripeteranno mai e che registrano l’impronta di un passo, i miei passi verso Itaca a sera.
C’è una nave ferma in mezzo al mare, il suo equipaggio guarda verso terra: da un capo all’altro del mondo, su opposte rotte, le attese s’incontreranno all’infinito, sulla linea curva di un orizzonte.
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