tutte le immagini dei quadri, delle sculture ed i testi tratti dai libri dell’artista sono © di Max Loy


..."Il raggio verde è una luce visibile per brevi secondi nelle chiare serate estive, subito dopo il tramonto del sole.

In metafora è qualcos’altro di più significante, una luce interiore che va cercata lì dove ha dimora: nel silenzio.



raccolta di immagini, testi e pensieri di Max Loy ...

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In these paintings of mine there are two different elements: colour and shape, casualty and organization, intuition and recognition. Two different types of music combining melody and a countermelody evoking the marvel of a stereophonic listening.


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Introduzione alla Sua arte

Esposizione virtuale delle opere di Max Loy.

“E’ così: ogni azione e ancor più manifestamente quelle dettate dal sentimento, affondano le radici in una regione misteriosa dalla quale ogni gesto assume un significato trascendente che è caratteristico della figura dell’uomo: egli trascende se stesso, così le sue azioni sono allegorie, immanenza e trascendenza insieme.

Questo è un mistero grande, l’unico.”

data inizio blog: 8 ottobre 2009


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sabato 2 gennaio 2010

Motoscafi - da "Costa dei fiori"


Forse devo riempire la mia solitudine.

Mentre penso faccio strada nel mare e non m’accorgo della fatica, né del caldo o del freddo. Solo sto attento alle onde quando il mare è mosso, e ai motoscafi che, specie dopo mezzogiorno, solcano nei due sensi l’orizzonte oltre o dietro di me. Dove vadano è un mistero. Sembrano presi dall’urgenza di un’ambulanza e volano sparati verso il nulla. Dopo un po’ li vedo tornare indietro e sparire alla stessa velocità dalla parte opposta, offrendo alla mia riflessione una tangibile ed indovinata metafora della corsa folle e senza scopo della vita contemporanea: quando saremo stanchi di andare avanti nel vuoto dovremo fare altrettanta strada al contrario, solo per guadagnare il punto di partenza, senza aver fatto nessuna esperienza del mare che chiede altri ritmi e ben altra disposizione d’animo.

Tutti mi raggiungono venendo da lontano e mi superano rimpicciolendosi nel blu, facendomi ballare sulle prime tre onde che mi corrono incontro un minuto dopo il loro passaggio. Le scavalco ed entro nella terra di nessuno che sempre si forma nella loro scia. Sembra sia passato un ferro da stiro (e un po’ ci somigliano) che abbia spianato l’increspatura del mare, una corsia larga dieci volte chi l’ha fatta, dove si respira il miasma acido della civiltà.

Passo oltre e punto verso un panfilo ormeggiato al largo del Flamingo. Mi avvicino. In mare le distanze ingannano: a volte sembra d’essere lontani, a volte prossimi a qualcosa che si vuol raggiungere e ci si sbaglia perché manca il confronto relativo.

Buono anche questo dettaglio per un approfondimento.

Quando sono finalmente a non più di cento metri risultano evidenti le dimensioni extra di questa ”barca”.

Quando i motoscafi superano una certa misura e diventano yacht o panfili acquistano una diversa dignità. Non viaggiano più con quella presuntuosa e sbagliata impostazione nautica che fa sollevare la punta e sprofondare la coda, il loro assetto rimane costante e l’armonia della linea non subisce alterazioni. I motori entrobordo non salgono di giri con l’isteria dei cani piccoli, ma brontolano regolari sott’acqua con un suono che culla il sonno e rasserena i sogni.

Queste sono barche che viaggiano e hanno il mio rispetto e la mia ammirazione.

Mi accosto di più, sfilando lentamente di lato. Lo scafo si allunga e si dispone per farsi ammirare in tutta la sua slanciata struttura. Mi avvicino alla grande prua che mi sovrasta con i suoi sei metri fuori acqua. La nave all’ancora oscilla solenne con la cadenza lenta dei leviatani, creando vortici e respiri profondi a prua che, ad intervalli misurati, mostra la grondante prominenza sommersa.

Resto li a due metri dal riflusso, col remo in retromarcia pronto ad evitare guai.

Strano il colore del panfilo, un grigio-verde militare. Ha molti strumenti in vista: radar, antenne, globi di vetro blu che chissà cosa sono, argani e nella veranda a poppa un bianco, grande ombrellone.

Chissà a chi appartiene.

Sento il rombo cupo di un altro motore in avvicinamento. È un grosso motoscafo che si dirige a grande velocità verso di noi. Porto la canoa a ridosso del panfilo perché mi faccia scudo nel caso non mi vedano.

È la guardia di finanza, punta decisamente qui.

A questo punto mi sposto, hai visto mai nasca qualche problema e incomincino a sparare? Con questo Bin Laden del cazzo che non si sa dov’è, non si può mai sapere…. Meglio mettere tra me e i guai una giusta distanza di sicurezza.

Ma la finanza gli gira intorno spumeggiante e com’è venuta riparte a tutto gas chissà per dove: dovrà controllare gli obiettivi sensibili sulle indicazioni telefoniche in codice del ministro per la sicurezza. Così il caro Bin non deve interrompere il suo pranzo a bordo per andarsi a radere di fretta la barba e ordina rilassato il secondo circondato da tante belle femmine col burka che copre solo il loro conturbante viso e lascia il resto tutto in bella vista, secondo l’ultima interpretazione talebana del Corano.



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