La sera sono al Flamingo: è una specie di gioco a pari e dispari.
Il Flamingo è dispari.
Costa dei fiori è pari
Qualcosa da obiettare?
Come sempre vedo facce nuove e facce che conosco.
Dico per dire, perché in verità non capisco più niente, troppa gente.
Questo dire basta e chiudere le porte fa parte di una sindrome complessa che investe vari campi. Ci leggo il desiderio di stabilirmi nelle posizioni raggiunte e di segnare l’orizzonte del mio campo visivo con la consapevolezza d’avere accumulato materiale sufficiente per finire il mio quadro.
Non s’invecchia di colpo, ma attraverso tante stazioni: se questa è una, è la benvenuta.
Quando dipingo ho sempre la possibilità di rinventare il quadro, in qualsiasi momento posso aggiungere o togliere qualcosa, ma a un certo punto devo dire basta, devo espormi al rischio di dire la mia in quel contesto, sviluppando quelle premesse e quei presupposti se no, non finirei mai e non basterebbe tutta la vita per realizzare una sola opera.
Mi sono sempre chiesto quante informazioni, quante esperienze, quanto pensiero, quanto tempo, quanta acqua dovesse passare sotto il ponte prima di poter diventare me stesso.
Certo non si finisce mai di crescere, questo è vero, però, a Dio piacendo, avrei il desiderio di consegnare la mia vita come opera finita e, a voler essere magnifici, rifinita. E allora comincio a farmi i conti in tasca: quanto tempo mi resta? Se non sono eterno, conoscendo la complessità della fase finale di un quadro, stimo che è ora di fermarmi, rinunciare all’inventario delle possibilità di ulteriori sviluppi, allontanarmi di tre passi per riordinare le idee e fare unità di tutto, con coerenza e con bellezza.
In arte è così: si termina un quadro ...e poi se ne inizia uno nuovo.
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