Intanto qua attorno si sta creando un bel chiasso, sono arrivati i bambini e i genitori dei bambini che dialogano amabilmente con i loro tesori:
- Perché Giovanni non ubbidisci? -
È arrivato Giovanni con mamma e papà.
Sentivo la mancanza di Giovanni, meno male che ora c’è.
Ho finito il nero e questo è un problema perché mi serve per contrastare e dar risalto alla luce. Al suo posto ottengo un grigio-marrone scuro, ma non è la stessa cosa, non crea stacco, è fiacco come la mia ispirazione, se così si può chiamare la noia che mi è penetrata nelle ossa con l’umido.
Continuo a sporcare la tela, ai clienti racconto che in questo modo vado allestendo il ”cantiere”, che sto organizzando il laboratorio, che porto materiale e preparo la tavolozza, perché ho imparato anch’io a raccontare balle come fan tutti, però in realtà mi sento perso.
La fase di costruzione di ogni dipinto passa attraverso questo calvario disperante. Sarà che ormai ho dipinto tutto quello che potevo e sono sazio, che odio ripetermi, sarà che ho esaurito l’energia e la curiosità perché sto invecchiando o che sono insufficienti gli stimoli esterni o è per via di Giovanni:
ma è chiaro che è colpa sua!
Come cazzo faccio a concentrarmi con questo coglione tra i piedi?
Via, son già le sei passate, il pomeriggio è andato. Meglio riporre ogni cosa, rientrare con calma, cenare e ricaricarsi per la sera.
Con automatismo faccio all’inverso le operazioni della mattina, ogni tanto sollevo lo sguardo sulla piscina e all’intorno, per quella curiosità inconscia d’osservare gli altri, valutare se commentano i miei movimenti, se si accorgono della mia stanchezza che cerco in ogni modo di dissimulare:
se si accorgono che sono ferito mi ammazzano, la carità anno 2005 ha maturato quest’etica.
Mentre son chino con la testa dentro lo stipo per assestare i pannelli, da dietro il muretto del chiosco sento interpellarmi da un tale, mi alzo e accenno un sorriso di disponibilità: - mi dica… -
Apprezza il mio lavoro.
”Ma guarda” penso ”è come nei film, a Dio piacciono i colpi di scena, quando si è prossimi alla fine, allora arrivano i nostri.”
Senza convinzione, per abitudine, soffio sul fuoco per non farlo spegnere, saggio il terreno, invento li per li qualche frase ad effetto poi, con più impegno, mi spendo per dar ragione del mio lavoro e infine appassionandomi mi lascio trasportare dall’estro e creo musica, perché sono ancora vivo.
Alla fine l’uomo mi fa certo che diventerà mio cliente perché si sente del tutto persuaso della validità del mio lavoro.
E quando accadrà tutto ciò? chiedo col fiato sospeso
Nessun commento:
Posta un commento
Esprimi il tuo commento, grazie.