Link di Max Loy
·http://www.youtube.com/user/maxloy1950
·http://blog.libero.it/ecodimaxloy/
·http://www.gigarte.com/maxloy
·http://twitter.com/maxloy1950
. https://www.gruppoalbatros.com/prodotti/mettimi-come-sigillo-sul-tuo-cuore-max-loy/
percorso professionale
A N T O L O G I A
martedì 19 ottobre 2010
Insegnare e disegnare
La riflessione piú semplice ci restituisce la sostanziale reciprocità fra insegnare e disegnare. Il latino designare, da cui il nostro disegnare, associato al docere, che significa orientare ad un fine, ordinare, far sapere, si può fare equivalere appunto al nostro insegnare. E sia il latino designare, sia l'italiano insegnare e disegnare, sono evidentemente imperniati sul sostantivo signum, come lo è pure un'importante famiglia di parole italiane, come ad esempio segnare, contrassegnare, consegnare, assegnare, significare, sigillare. Perciò si potrebbe sostenere la tesi: non si può insegnare in senso pieno senza il disegno. Evidentemente nel senso per il quale insegnare è individuare, è formare segni, come molteplicità diversamente ordinabile; ed è sigillarli, ossia fissarli nella loro forma determinata; ed è consegnarli agli altri, assegnando a ciascuno i tipi di segni e delle loro elaborazioni che si giudicano piú adatti alla crescita di ciascuna persona. Il sistema dei segni è il linguaggio stesso, in qualunque sua forma. I segni sono tali in quanto designano un significato: in ogni caso, presuppongono disegni mentali, dunque anche progetti, che tendono a prender forma comunicabile, mediante gli essenziali disegni che sono i segni; i quali a loro volta si moltiplicano e si pongono in relazioni molteplici secondo altrettanti disegni o schemi mentali. Qualsiasi segno è dunque comunicabile e riconoscibile come designante quel determinato significato, o idea, solo mediante il disegno che lo struttura. E qualsiasi significato è tale in quanto il disegno interiore armonizza con il segno esterno riconoscendolo nella sua intenzionalità significativa.
Insegnare è dunque essenzialmente indicare, designare realtà determinate, mediante i loro disegni o immagini o simboli o segni: è indicarle nella loro determinatezza e nelle loro relazioni, reali e possibili, dunque nel loro ordine, attuale o potenziale. Insegnare è insomma trarre dal disegno interiore della realtà altri disegni interiori capaci di trasformarne la forma di ordine, nella quale la percepiamo, in altre forme di ordine, diversificate e sempre piú perfette, nonché le loro rappresentazioni esteriori. L'immagine è perciò essenziale in ogni forma di insegnamento e di linguaggio: è essenziale quanto il concetto, che è la forma della massima essenzialità e universalità dell'immagine.
Tratto da “Disegno, Ordine, Significato” di Pier Paolo Ottonello
domenica 17 ottobre 2010
Le gallerie
Le gallerie non gli piacevano affatto, gli infondevano angoscia, gli sembravano la metafora della sepoltura. Evocavano la morte piazzate lì, in agguato come una disgrazia nera, capaci di oscurare la certezza del sole in uno sbatter di ciglia, “In ictu oculi…. Passa la vita”…. ZAC! E si va sotterra.
Quando non temeva d’esporsi al ridicolo, prima ancora di accendere i fari, chiudeva i finestrini, per un bisogno di protezione. “Troppo rumore”, si giustificava e poi accelerava per uscire prima che poteva, spinto da un senso claustrofobico e, appena in vista, teneva gli occhi ben fissi sul foro d’uscita come prefigurandosi la Resurrezione, forse rivivendo l’esperienza primordiale della nascita , che non dev’essere uno spasso, sulla falsariga dei reduci dal coma.
“Prima si esce da qui dentro, meglio si sta. Un buon motto da incidere su una cassa da morto”. Pensò.
Tratto dal libro "Racconto in bianco e nero" di Max Loy
Il gioco e l'umorismo
Il sentimento artistico nasce dall’incontro della vita impressa in un’opera d’arte con la vita che si trova in chi la contempla. “Dobbiamo guardare, guardare e guardare fino a far vivere il quadro davanti a noi e identificarci con esso per un attimo fuggevole. In quel momento, per quell’attimo fuggevole, siamo costretti a modificare la nostra definizione di realtà.
Il gioco e l’umorismo ci offrono allora l’opportunità di esercitare la capacità di apprezzare il paradosso di una nuova realtà. Il gioco è piacevole ed è fonte di un certo svago. L’umorismo è metaforico e paradossale. In questo modo si riesce a mantenere un equilibrio tra la nuova esperienza e la realtà già nota, la nostra certezza.
E’ questa una prova che ci permette di approcciare poi ogni novità con slancio, curiosità e desiderio di ristrutturare il possibile. Infatti la pratica dell’umorismo è sempre una pratica paradossale. La logica viene capovolta, ma la verità non scompare. Viene favorita l’immaginazione e ne scaturisce la novità. Nell’umorismo si crea una nuova logica.
Ecco che una chiave di accesso e di fruizione dell’arte, soprattutto di quella che richiama degli schemi inediti, può essere l’umorismo, inteso come accettazione di un particolare stato d’animo in una cornice inaspettata.
Riflessioni leggendo W. F. Fry “Una dolce follia”
sabato 16 ottobre 2010
Unità originaria
..... "Fare in modo che due siano uno, fare sì che l'interno sia come l'esterno e l'esterno come l'interno, e l'alto come il basso, fare che il maschile ed il femminile sia una cosa sola, che l'occhio sia al posto di un occhio e una mano al posto di una mano e un piede al posto di un piede, un'immagine al posto di un'immagine....."
Riportare le cose alla loro unità originaria, in cui non ci sono parti ma solo il tutto, non c'è un alto o un basso, un fuori o un dentro.
La verità delle cose è l'unità.
liberamente tratto da Bart D. Ehrman - Lost Christianities: The Battles for Scripture and the Faiths We Never Knew
giovedì 14 ottobre 2010
Capire un quadro
La rappresentazione del mondo è un modo di rappresentarlo, che dipende dalle cognizioni dell'artista, dall'ambiente che lui frequenta, da coloro che gli hanno commesso l'opera - il che è importantissimo-, e soprattutto dalle sue capacità tecniche. Tutte le rappresentazioni del mondo sono legate a questi fattori: tecnica, conoscenza, mitologie del momento, fattori religiosi, fattori sociali, e poi, negli ultimi, diciamo cinquanta, cento anni anche il fattore economico, che è molto importante. Ogni rappresentazione segue queste leggi. Quindi il fatto stesso di rappresentare il mondo esterno è seguire uno schema rappresentativo. Non esistono assolutamente rappresentazioni che evadano da questi fattori.
Più si conosce la storia - parlo di tutta la storia: religiosa, sociale, economica, letteraria - e più è facile capire i quadri. Bisogna avere una base conoscitiva molto ampia per capire i quadri. Anche perché, a dispetto di quelli che parlano di pura visibilità, il soggetto è molto importante per capire un quadro.
Federico Zeri
la metà del lavoro
Chi scrive un libro fa la metà del lavoro. L'altra metà la fa chi lo prende quel libro e lo legge, lo butta, lo consuma, lo assorbe, ci litiga, ci va a dormire sopra, ci si addormenta. Insomma il lettore compie il libro, lo finisce il libro, come se fosse un semilavorato e alla fine della lettura di ogni singolo lettore, quel libro è un'opera compiuta, è un fatto compiuto, perché è avvenuto l'incontro o scontro o la rinuncia o la rissa tra le due parti.
Erri De Luca
mercoledì 13 ottobre 2010
Hegel e l'arte
L’arte è essenzialmente mediazione e conciliazione tra spirito e materia, universale e particolare, infinito e finito, pensiero e sensibilità: essa è un prodotto dello spirito con il quale questo dà vita a una prima forma di “conciliazione tra ciò che è semplicemente esterno, sensibile e transeunte , ed il puro pensiero, tra la natura e la realtà finita e l’infinita libertà del pensiero concettuale".
L’opera d’arte non è ancora puro pensiero, ma, nonostante la sua sensibilità, non è più semplice esistenza materiale, come le pietre, le piante, la vita organica”. A differenza delle pur varie forme del bello naturale, l’opera d’arte reca in sé un momento della vita dello spirito e fa appello a un pensiero capace di comprenderla nella sua essenza: essa “è essenzialmente una domanda, un’apostrofe , rivolta ad un cuore che vi risponde, un appello indirizzato all’animo e allo spirito”.
A cura di Claudia Bianco
lunedì 11 ottobre 2010
Il salvatore
Quel giorno Luca era sceso al torrente e si era seduto sulla base di cemento dell’acquedotto che serviva il vicino centro di Spedaletto due chilometri più a monte e cento metri più in basso. Era rimasto lì a far sbollire il malumore guardando l’acqua limpida e verde di una pozza. Aveva fatto tutte le sue solite considerazioni e s’era posto tutte le sue abituali domande. S’era chiesto quale fosse il suo nome, quanti anni avesse e se la vita fosse già tutta lì, alle sue spalle, cosa che si continuava a domandare da quando aveva compiuto vent’anni. Poi aveva fatto l’altra bella constatazione d’aver già dei figli ormai grandi. Allora com’era sua abitudine s’era accarezzato la barba provando piacere nel saperla brizzolata. Poi era rimasto a guardarsi una mano perché non gli veniva in mente più niente di altrettanto interessante.
Così era ricorso all’espediente efficace di tirar sassolini nell’acqua perché sempre, quando aveva la fortuna di poter tirare qualche pietruzza nell’acqua, era parimenti riuscito a fare qualche bel pensiero sostanzioso. Lui osservava il sassolino sprofondare nell’acqua e scomparire nel “misterioso” fondale, poi seguiva il moltiplicarsi dei cerchi all’infinito e dopo una mezz’oretta passata così, era in grado di pronunciare, con animo sereno, mirabili sentenze che allungavano la lista degli aforismi famosi di tutti i tempi. Un patrimonio di inestimabile valore per l’umanità, che i suoi figli apprezzavano veramente tanto. Poi, visto che c’era vento e che lui sapeva l’aria essere uno dei quattro elementi primordiali, coscienziosamente si era messo in ascolto, nel caso che il vento avesse qualcosa di personale da dirgli. Aveva chiuso gli occhi (stanchi avrebbe detto), quegli occhi che, effettivamente, continuavano a guardare da quarantanove anni, pur senza distinguere gran che nel dettaglio, ed era rimasto così, per riposare un po’. Mezzo secondo netto, per la precisione. Voleva fare silenzio dentro di sé, far tacere il tumulto del pensiero (sic!)…. E accettare d’essere portato dal tempo come l’acqua che gli scorreva gorgogliando accanto (il torrente era in secca). Tutto per giungere ad una confessione pubblica di grande impatto emotivo: “non era lui il salvatore di se stesso, né di alcun altro, ma solo un viaggiatore un po’ stanco” termine insistito “che aveva visto una parte del mondo, non tutto il mondo, ma una parte, una piccola parte e che poteva raccontare la sua storia a chi avesse voluto ascoltarla.”
Così era ricorso all’espediente efficace di tirar sassolini nell’acqua perché sempre, quando aveva la fortuna di poter tirare qualche pietruzza nell’acqua, era parimenti riuscito a fare qualche bel pensiero sostanzioso. Lui osservava il sassolino sprofondare nell’acqua e scomparire nel “misterioso” fondale, poi seguiva il moltiplicarsi dei cerchi all’infinito e dopo una mezz’oretta passata così, era in grado di pronunciare, con animo sereno, mirabili sentenze che allungavano la lista degli aforismi famosi di tutti i tempi. Un patrimonio di inestimabile valore per l’umanità, che i suoi figli apprezzavano veramente tanto. Poi, visto che c’era vento e che lui sapeva l’aria essere uno dei quattro elementi primordiali, coscienziosamente si era messo in ascolto, nel caso che il vento avesse qualcosa di personale da dirgli. Aveva chiuso gli occhi (stanchi avrebbe detto), quegli occhi che, effettivamente, continuavano a guardare da quarantanove anni, pur senza distinguere gran che nel dettaglio, ed era rimasto così, per riposare un po’. Mezzo secondo netto, per la precisione. Voleva fare silenzio dentro di sé, far tacere il tumulto del pensiero (sic!)…. E accettare d’essere portato dal tempo come l’acqua che gli scorreva gorgogliando accanto (il torrente era in secca). Tutto per giungere ad una confessione pubblica di grande impatto emotivo: “non era lui il salvatore di se stesso, né di alcun altro, ma solo un viaggiatore un po’ stanco” termine insistito “che aveva visto una parte del mondo, non tutto il mondo, ma una parte, una piccola parte e che poteva raccontare la sua storia a chi avesse voluto ascoltarla.”
Tratto dal libro "Racconto in bianco e nero" di Max Loy
domenica 10 ottobre 2010
Vale o non vale la pena?
Il gatto intanto lo guardava impenetrabile e distante, con calma sovrana, accentratore di potere, saturando tutto lo spazio della coscienza di Luca che si accorse di lui e lo cercò per una carezza.
Roboamo aveva dieci anni e da dieci anni dissimulava sotto un’aria sonnolenta e tranquilla un’indole inquieta, guardinga, l’attenzione rivolta altrove ai rumori insoliti, sospetti, indecifrabili della casa. Impercettibili scricchiolii del legno, bisbiglii segreti, umori, pensieri, suoni da interpretare, tutte eccezioni alle abitudini cadenzate della giornata. Porte aperte sull’imprevisto, opportunità, pericoli…. Chissà.
Da qualche tempo però sembrava meno attento, più abbandonato nel sonno, più apatico ed anche più vulnerabile.
Forse perché era più vecchio? Si chiedeva Luca, da sempre alla ricerca del comune denominatore comportamentale, riflettendo sul proprio stato d’animo.
Uscì dalla stanza e nuovamente si fermò ad ascoltare se il tarlo, che non era mai riuscito a stanare, continuasse a consumare il legno del corridoio come un vizio che è vano combattere. Quel tarlo era quasi un alibi, come a dire che in certe situazioni si resta impotenti. La casa intera era una giustificazione plausibile agli scrupoli di coscienza: la manutenzione una lotta infinita e persa, dopo il grande entusiasmo e la profusione di energia della ristrutturazione e dell’arredamento.
Il tempo era una macina
……
E poi c’era la Noia sempre lì in agguato con quella dannata domanda: - Vale o non vale la pena? –
…..
“La fregatura è ….” Pensò sconsolato” la fregatura è che la noia è onnivora e ha mascelle da iena, sgretola anche il desiderio dopo essersi ingoiata tutti i piaceri”.
……
Brani tratti dal libro “Racconto in bianco e nero” di Max Loy
venerdì 8 ottobre 2010
Max Loy Accademico - 1986
Il premio internazionale "Le Muse"
Fondato da Giuliana Plastino Fiumicelli, ancora oggi animatrice dell'Accademia "Le Muse" e promosso dal sindaco Giorgio La Pira nel 1965, il premio viene attribuito a personalità illustri del campo culturale, dalla pittura alla letteratura dal cinema al teatro, che si siano particolarmente distinte nel corso della loro carriera.
"Il premio internazionale 'Le Muse' costituisce a Firenze la manifestazione che negli anni è diventata una vera e propria occasione istituzionale che per serietà e rilevanza dei personaggi premiati ha coinvolto l'Amministrazione comunale fino a farla sentire pienamente identificata con le scelte che rappresentano l'intera città di Firenze.
Rileggere l’Albo d’Oro fa trepidare di emozione e capire che dal Salone dei Cinquecento è passata, attraverso la manifestazione, tanta parte della cultura italiana ed internazionale attribuendo a Firenze il ruolo di centro della cultura la cui vocazione naturale trova dal Premio alimento ed indiscusso prestigio.
Grazie all'entusiasmo e la competenza di Giuliana Plastino Fiumicelli, il premio ogni anno è cresciuto e lo ha fatto diventare uno dei più prestigiosi a livello nazionale, tanto che anni addietro ha ricevuto un riconoscimento dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi".
prof. Corrado Marsan
Cattedrali
.... Un molo
Attracco di velieri
Tra geometrie
Ritagli
Schegge
E frammenti.... Il cielo
Lembi di mare
Lembi di terra.
Deposito di onde
Foreste di alghe
Santuari marini
Imbevuti di luce
Si stagliano nel cielo
Come dolmen
Elevano dal suolo
Votive colonne
Taglienti come coltelli.
Vetrate di cattedrali
Riflettono metalli dorati
E luci arcobaleno
Fanno piovere bagliori
Di azzurro puro....”
Mariella Murgia
Iscriviti a:
Post (Atom)