L’idea di
disciplina dentro un quadro di vita artistica non è immediatamente associata
alla regola. L’idea di disciplina è legata al discepolato (discepolato vuol
dire che c’è un discepolo e c’è un maestro); e questo discepolato non necessariamente
dice una subordinazione ed una inclinazione di soggezione. Infatti secondo l’etimologia
della parola disciplina c’è appunto
la parola discepolo, discipulus in latino, e la cosa più
interessante è che dentro questa parola c’è una radice straordinaria. E’ la
radice dic. Questa radice è una di
quelle che contemplano in sé l’idea di luminosità, di divino, il manifestare,
il vedere, l’indicare.
Dunque la
disciplina prima di essere un complesso di regole è un tentativo di
chiarificazione, un desiderio di semplificazione che in qualche modo aspira ad
una chiarezza che ha un percorso, una pista. Per questo il discepolo si affida
ad un maestro; così come il maestro ha nella propria responsabilità la
chiarificazione dell’anima del discepolo.
Così avviene nell’ambito della vocazione
artistica. Essa non è uno sforzo per raggiungere o conquistare qualche abilità
o conoscenza. E’ invece qualcosa che appartiene all’ordine del fascino, ed il
fascino è qualcosa che si avverte, si subisce. Semmai occorre una “ripulitura”
dell’anima perché questo fascino sia sempre più intensamente avvertito.
A tal riguardo il
rapporto che c’è tra il discepolo ed il maestro è un rapporto di grande
importanza, un rapporto di rispecchiamento reciproco e di fiducia, nel quale il
compimento del tragitto (il percorso, la pista individuati) va verso l’interiorità.
Se il maestro è tale perchè riesce a rendere il discepolo simile a sé, lo deve
portare alla propria medesima profondità. E’ un atteggiamento di introspezione.
Il maestro prepara la strada per poter far emergere quella velata maestria che ha
intuito essere nel discepolo. Ed il
discepolo deve sentire l’omogeneità di chiamata rispetto al maestro.
Se si pensa alla
disciplina come ad una regola, ad un ritmo, dimenticando il “materiale” di
questo ritmo, si trascura la profondità dell’idea di disciplina come chiarificazione interiore. La disciplina
quindi non va intesa soprattutto come regola, ma come ritmo vitale, vitalità.
E’ significativo,
a tal proposito, che quando si conosce un grande maestro la riconoscenza è il
sentirsi partecipi della medesima maestria trasmessa “per contagio” ,
attraverso il suo metodo, la sua disciplina.
Questo è poi il
senso che si deve avere quando si parla di disciplina nell’ambito artistico. La
disciplina non è un complesso di regole rispetto alle quali bisogna obbedire; ma
viceversa è il “contagio” del fascino dello spirito, entrare nel ritmo vitale
che permette la chiarificazione interiore.
Per contro, l’opposto
della disciplina si realizza quando si confonde la regola con il fine. Quando
si celebra la regola, anziché passare attraverso la regola per raggiungere il
fine. La regola deve essere sempre in funzione del fine. Un esempio: l’artista
studia e quindi si applica con disciplina per maturare e rendere vitale la
propria comprensione; ma se studiasse unicamente per essere riconosciuto abile,
celebrerebbe la regola, e questo sarebbe davvero una disfatta!
L’idea del compimento
è quella che serve per
declinare la disciplina.
Liberamente tratto da una conversazione di Padre Giuseppe Barzaghi.
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