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A N T O L O G I A
domenica 17 luglio 2011
Il rudere e la patata di mare
Due passi oltre lo steccato e l’incanto svanisce:
ritorno al presente.
La ragione sgretola il sentimento e s’occupa d’altro.
Tien d’occhio l’orologio, computa da ragioniere.
Sette e dieci, il tempo passa, il sole segue il suo
corso. Ora è più giallo, più arancio, ferisce meno lo
sguardo. Le ombre si allungano, il silenzio è più
grande.
Come la solitudine.
Resta nel sottofondo il rumore del vento e del
mare.
Guardò il promontorio, più vicino in linea d’aria, ma
irraggiungibile perché la strada era interrotta da
un canale.
Vide che sulla sommità si ergeva un rudere che
mostrava sul lato esposto e franato, l’interno di una
grande stanza invasa da rovi. Dal punto
d’osservazione di Luca, dal “versante dell’ovvio” non
si apprezzava altro e quanto si vedeva era di scarso
interesse.
Ma egli morso da un’inspiegabile ansia superstiziosa,
incurante del tempo che stava scadendo, rinnovò il
proposito:
“se arrivo sin lì sarò salvo”
Sette e un quarto.
infeltrita di barbe d’alga lavorate dal vento e dal
mare, e la lanciò al centro della corrente,
affidandola al galleggiamento, alla sopravvivenza e,
con la libertà di Dio si trattenne ancora qualche
tempo a ragionar sulle Epoche e sulla Storia per
caricarsi di urgenza. Infine raccolse la bici e risalì
con lo sguardo tutto il canale fin dove si perdeva
tra la vegetazione, cinquecento metri a monte, in
prossimità della statale che riappariva in quel
punto, cavalcando un ponte, e rimaneva in vista per
tutto il tratto che seguiva, costeggiando quella
landa selvaggia e deserta.
Se voleva raggiungere il
rudere sul promontorio sarebbe dovuto risalire fin
lì, oltrepassare il canale e rientrare appena
possibile nel il primo sentiero in direzione del mare.
Il canale s’inoltrava nell’entroterra tra due argini
inclinati di cemento attraversando, per qualche
centinaio di metri, un terreno scabro di terra
battuta rossa e polverosa, vuota come una pista
d’aeroporto.
Tratto dal libro di Max Loy “La casa del Padre”
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