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A N T O L O G I A
mercoledì 27 novembre 2013
Cattedrale nel deserto
ESEGESI DI UNA FOTO - (oltre il "mi piace")
Nei miei vagabondaggi cerco sempre qualcosa: una sintonia,
un'inquadratura, la giusta prospettiva dalla quale guardare lontano,
nell'altrove, verso una terra promessa.
In questa foto, ad
esempio, si addensano dettagli che meritano attenzione.
Ne faccio lettura.
Parto da uno sguardo
d'insieme, dal risultato.
Avverto una sensazione
di pace: dalla luce, dai colori, dalle forme emana un senso di intima
tranquillità.
La foto è chiara,
l'immagine è nitida, l'inquadratura bilanciata, i colori sono stupendamente
armonizzati e vividi: oro e azzurro.
Tuttavia un elemento, l'incongruenza di un rudere industriale
calamita l'attenzione, contrasta, dà peso e sostanza allo scatto, ponendo una
domanda senza mediazioni all'inconscio. Le domande dirette sono sempre domande
enormi, alle quali non possiamo rispondere se non col filtro della distanza,
nel tempo, nella "maturità del tempo", nell'ora fatta per noi. Questo
non impedisce all'anima di sentirsi toccata da un soffio di vento: così mi
fermo, mi metto in ascolto, guardo, respiro, penso.
IL PRIMO PIANO. Comincio col considerare dove mi trovo, osservo
le cose che ho intorno: terra e erba, cose che conosco fin dall'infanzia: una
natura amica, semplice, familiare, quotidiana. In modo astratto penso al
passato, alla mia famiglia d'origine, ad un'imprecisata stanza di giochi, evoco
dettagli, evinco simboli, il mio letto, il cassetto di una scrivania, le matite
colorate, il foglio bianco, la tela … fino all'attualità … terra ed erba, un
cerchio completo.
Alzo lo sguardo e cerco un sentiero tra i cespugli. Inizia il
gioco di dove mettere i piedi, la scelta di dove andare, l'esplorazione aldilà
del conosciuto, oltre il muro, la siepe, la recinzione … Si chiama Esodo o,
altrimenti, in altri capitoli delle Scritture, l'esortazione consonante
"Esci dalla tua terra e vai": un imperativo, un comando dello Spirito
al quale non ci si può sottrarre. E' il viaggio della vita, cercato e
necessario.
Il primo piano di questa foto mi suggerisce queste
considerazioni.
IL SOGGETTO. Poi lo sguardo si fissa sul rudere industriale che
giganteggia in distanza: è grande, ma inserito in uno spazio in espansione che
sfuma all'infinito sul profilo di evanescenti, azzurre montagne. E' una vecchia
fabbrica dell'area portuale in disuso. Singolare il fascino delle rovine
industriali, hanno strutture complicate, cemento e ferro dalle forme strane,
evocano controluce improbabili sagome di luna-park misteriosi e deserti,
rottami, stanze vuote, vetri rotti, passaggi interrotti, voragini incustodite,
scale, cavi, tralicci che s'intersecano come ingranaggi d'orologio arrugginiti,
rimandano al pensiero di un tempo scaduto. L'inconscio ha meccaniche occulte,
intelligenza esatta, scienza infusa che dispensa col contagocce, senza
appuntamento: d'improvviso impone un'evidenza che chiude ogni discussione, dà
titolo al quadro: "CATTEDRALE NEL DESERTO".
Quoèlet, dal Libro della Sapienza: Il culto sbagliato, l'idolo
muto, Babele, vanità della Storia, rovina del Tempio: "non resterà pietra
su pietra".
LO SFONDO. Vado oltre, seguo con lo sguardo la prospettiva in
fuga accennare un'essenziale e limpida descrizione di un emblematico archetipo
di abitato: una casa baciata dal sole, un'oasi, un fragile e prezioso momento
d'intimità regalato, il privato, il personale, l'identità concessa in un mondo
vasto e universale: Dio che ci chiama per nome.
Poi, dopo questa parentesi, dopo questa breve sosta dello
sguardo, dopo i ricordi e gli affetti, aldilà di un argine si spalanca
l'infinito di Leopardi: lo sfondo, un luminoso schermo vuoto, un quadro da
dipingere, un sogno da inventare, una speranza azzurra, un anelito e, a
seguire, il canone, la regola, il DISCERNIMENTO: una netta separazione tra
terra e cielo disegna, con chiarezza, il nitido profilo e il confine di ciò che
appartiene a questo mondo da ciò che è altro. Materia e spirito, separati e
coincidenti, fusi e distinti come in un mistero Trinitario svelato ed evidente,
celebrano l'Armonia del creato, la BELLEZZA.
L'ORA. L'ora è la chiave. In quest'ora la luce è talmente
amabile, il cielo così terso e azzurro, il mare calmo, la terra piana e tiepida
che è possibile sostenere la mole incombente del destino (Quoèlet) che nel
rudere suona la campana dell'ultimo appello e, come nell'antico gioco
d'infanzia "CHI è DENTRO è DENTRO, CHI è FUORI è FUORI!".
Fuori da che?
Dall'ARCA, dalla GRAZIA, dalla SALVEZZA.
In quest'ora così dolce, dove il rumore del mondo cede al
silenzio e lo spirito vola libero incontro alla luce, in quest'ora è dunque
possibile pensare senza turbamento alla morte: l'armonia è salvacondotto.
Dentro questo pensiero, dentro quest'inquadratura sto bene: sono
arrivato, fermo l'immagine, scatto la foto. Una foto come promemoria su cui
meditare nell'ora del tramonto, allo scendere dell'ombra, prima che sia tardi,
prima del sonno.
Io prego così, in piedi, camminando con le mani in tasca e la
macchina fotografica a tracolla.
Di: Max Loy
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