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percorso professionale
A N T O L O G I A
lunedì 4 aprile 2011
Riposare
(...)
Ma è ora di canoa, il mare ha qualcos’altro d’importante da dirmi anche oggi e non devo farlo aspettare.
Il vento soffia come ieri, obliquo alla costa, dal mare.
Direzione obbligata dunque, secondo la mia abitudine di partire controvento per far salvo il ritorno. Punto nuovamente verso Nora, baricentro in coda e prua sollevata per planare morbido sulle piccole e fitte increspature del moto ondoso in aumento. Ho buon allenamento e resistenza, ma la posizione è difficile, stanca soprattutto i tendini delle cosce, tese a squadra senza possibilità di riposo.
Avanzo lento, compensando il beccheggio con istintivi movimenti del corpo, allungandomi all’indietro all’irrompere di un’onda più alta per saltarla di prua e di nuovo inarco la schiena per ricadere leggero, senza sollevare spruzzi gelati, in una danza che mima un amplesso: faccio l’amore col mare!
La fatica è premiata, sono ancora asciutto ed è bene restare così perché non fa caldo.
La voga ha inserito il pilota automatico che libera l’istinto primordiale quiescente, il pensiero s’immerge in se stesso e lo sguardo vaga sull’acqua errabondo, alla ricerca del guizzo d’un pesce, scrutando impercettibili sagome all’orizzonte e vagliando ombre e luci sul fondo, spie di spiriti marini nascosti tra gli scogli sottocosta, prossimi alla riva, alla regione degli umani. Dalle lontananze sento a tratti raggiungermi il cupo rumore di qualche grosso motoscafo d’altura. Il vento porta per primo la notizia, ma segue la conferma dall’acqua che propaga velocemente le vibrazioni, molto prima che la vista sia informata del fatto. Questa è una garanzia per quando, abbandonato e sonnolento, mi lascio trasportare alla deriva ad occhi chiusi.
Ad occhi chiusi distinguo i suoni, calcolo distanza e direzione e li riapro a tempo debito rizzandomi a sedere, all’occorrenza agitando il remo perché mi vedano.
Ora avverto un rombo lontano, insolito, prolungato e sinistro che all’improvviso cessa. Forse è la deflagrazione di una mina nella cava che separa, chi sa fino a quando, casa mia dai veleni. Un mondo contaminato e precario”
Ed ecco che dalla breccia aperta da questa esplosione sortisce un’orda di dèmoni, assediano la mia barca, occhieggiano beffardi sott’acqua allungando le mani sui bordi, alle mie spalle, quasi a toccarmi. Hanno nomi che conosco e mi provocano a rissa sacrilega in tanta pace, intrappolano la mia mente nel vischio dei topi e non riesco più a staccarmi di dosso quell’indecente gomma americana che mi sputano addosso.
Allora mi organizzo, botta e risposta, a rintuzzare ogni arroganza, faccio causa, cito in tribunale e, alle strette, meno le mani perché con i dèmoni non si ragiona.
Ma sono stanco, vorrei riposare…
Posso riposare?!
domando ad alta voce a chi ha orecchie per udire.
Mi sdraio di nuovo e lascio passare il tempo.
Lentamente mi calmo.
Quando sollevo piano la testa per controllare la deriva, con mia sorpresa mi trovo prossimo a terra, nell’acqua bassa della baia di Costa dei fiori, dove il fondo è un gioco di riflessi azzurro e oro che sono i colori dei miei quadri e della serenità che inseguo.
Allora mi rizzo a sedere e mi volto verso la lontana torre di Nora, che domina dall’alto la leggendaria città sommersa, con il sospetto che quel tratto di mare non mi sia propizio: domani batterò un’altra rotta.
tratto dal libro di Max Loy "Costa dei fiori"
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