“Quando sono stanco, vuoto e la noia mi
opprime…
osservo i miei
quadri… Silenzio.
Poi penso a
una nuova opera”.
Max Loy
Max Loy nasce
a Pistoia, città d’arte, nel cuore della Toscana e subito inizia il suo lungo
peregrinare tra il Nord e l’Italia centrale a seguito del padre, ufficiale
dell’esercito. A Pistoia ritorna per restare dopo una trentennale assenza.
Certo è azzardato ipotizzare che in un pugno di giorni, per recondite vie, egli
abbia assorbito linfa da questa terra, l’humus da cui prenderà forma il suo
immaginifico mondo d’esteta moderno, saturnino ed inquieto, ma quest’atmosfera
urbana, antica e moderna, sembra quasi aver inoculato e protetto in Max
qualcosa di molto prezioso: quei valori autoctoni, connaturati da secoli all'ambiente culturale toscano che devono aver determinato, in età matura, la
scelta empatica di mettere radici proprio qui, dove egli sembra respirare aria
di casa. La Toscana, come terra d’elezione, dove il gusto per la modernità si
affianca al compiacimento per la tradizione, sito dove il romanico e il gotico
dei suoi storici monumenti si perpetua in mezzo ad una cultura d’avanguardia e
dove, nelle campagne circostanti, le antiche arti e i costumi di una civiltà
contadina si offrono agli occhi di noi viaggiatori con l’incanto di territori
senza tempo, sembrano gli stessi che l’artista evoca nei suoi primi dipinti
figurativi. Mere coincidenze, forse, ma quei tratti che caratterizzano la sua
curiosità artistica, ricordano, per esempio, quelli dello scultore Marino
Marini o del pittore Sigfrido Bartolini, suoi concittadini. Curiosamente, anche
la presenza associata di fantasia e controllo, di calcolo e generosità
creativa, tipiche della mentalità toscana, potrebbero bene spiegare il tratto
caratteriale della personalità di Max e accreditare la stravaganza di un
viscerale legame con la cultura della sua terra verso la quale egli
simbolicamente ritorna in ogni sua opera d’intensa ispirazione, sognando una
terra promessa.
Ho incrociato
il suo lavoro “per caso”, facendo uno studio sulla pittura toscana del nostro
tempo. Scorrendo in ricerca tra un affascinante panorama di autori, colpita da
alcune sue composizioni, l’ho cercato e, a distanza, ho seguito le sue “tracce”
d’arte. Indagare il pensiero e l’opera di un artista è sempre impresa ardua e
affascinante, un vero e proprio percorso di conoscenza e di esplorazione, tanto
del suo processo creativo quanto del suo linguaggio espressivo. Con questa
consapevolezza ho cominciato a studiare la versatilità creativa di Max e con
essa a conoscere anche l’artista, personalità affabile, curiosa, bizzarra e
acuta che ben si racconta, tanto in questa autobiografia quanto nelle stagioni
stilistiche che la sua arte annovera. Tra i molteplici linguaggi espressivi cui
egli si accosta, la pittura e la scrittura sembrano privilegiati medium di
comunicazione. Le atmosfere poetiche e surreali delle sue prime pitture
rivelano, nell'elegante sintesi compositiva, una naturale propensione alla
narrazione visiva e sensoriale. La padronanza della tecnica - nella singolare
trasparenza delle sue scene - e l’insolita scrittura pittorica - fatta di segni
e visioni sfumate - hanno focalizzato la mia attenzione sulla resa percettiva
ed emozionale delle sue più recenti, astratte composizioni.
Da qui è
iniziato a ritroso il viaggio di scoperta nel mondo creativo di Max che ha
inevitabilmente intrecciato la mia strada di studiosa alla sua di artista. Ho
condiviso con lui i suoi percorsi creativi, determinata a fare sempre nuova
esperienza della “misteriosa cifra dell’arte”, crocevia dell’umano sapere,
ponte temporale tra culture, scuola di pensiero e di vita. Per natura sono
attratta e tendo a ricercare personalità artistiche che suscitano in me un’eco
interiore, quel feeling indispensabile per leggere e raccontare un’opera
penetrando il liscio muro del suo silenzio. Questa empatia epidermica
d’affinità inconsce, mi ha permesso fin dal primo istante di respirare
l’atmosfera che caratterizza la sua opera, di cogliere e gustare quello strano
sortilegio, quell'attimo d’impalpabile trapasso di stato in cui i soggetti
delle sue tele, benché reali, evaporano sul labile, incerto confine dove
l’amalgama di forma e colore vira all'astratto con linguaggio concettuale.
Max Loy entra
nella nostra vita in punta di piedi per poi travolgerci.
L’intero suo
percorso artistico è traccia autobiografica, una metafora trasparente, a volte,
criptica, che testimonia l’esistere della coscienza nel mondo come corpo, carne
e anima, storia e arte. Il suo segno prima figurativo, poi astratto, genera le
cifre di una coscienza impegnata e ne traccia il percorso fenomenologico. Si
tratta di “pittografie” di un’immaginazione creativa che vuole intimamente
sostituirsi alla visione disincantata del mondo mediante armonici simboli di
bellezza universale: forme essenziali, ombre e luci, una meticolosa, meditata
sintassi strutturale e una sapiente opera di sintesi cromatica definiscono
ancora oggi l’unicità stilistica della sua pittura. Le alchimie illusioniste
delle ultime opere sono già presenti, dissimulate, nell’ordito dei suoi primi
lavori figurativi e tutti i molteplici capitoli che costituiscono le tracce del
suo percorso sono attraversati da un unico filo conduttore: un orizzonte. Il
suo stile, sintesi poetica di arte e vita, è prova nel tempo di coerenza di
“senso” e d’indirizzo, nonostante le varianti esplorative che pure intervengono
in ogni suo “momento creativo”. Esplorazioni che, nate all'insegna d’una
sperimentale passione per l’elaborazione d’ogni sorta di linguaggi e di
materiali, risultano sempre coordinate e finalizzate da un’individuata visione
unitaria, estetica e valoriale, sorretta da intima e motivata volontà
espressiva, indifferente per scelta alle spurie seduzioni delle mode.
Pensando alla
sua fervida operosità artistica, mi viene d’accostare il suo immaginario
poetico e riflessivo ad alcuni personaggi di E.T.A. Hoffmann, non solo per la
sensibilità musicale e cromatica delle atmosfere pittoriche, ma anche per la
curiosa fantasia creativa che costella l’intera sua vita. Da questa documentata
autobiografia, in cui Max ha voluto mettere ordine nei suoi cassetti, dai
dipinti o dai video che nel tempo ha realizzato, si ricava l’impressione che
anche il vivere quotidiano sia stato per lui materia da plasmare “ad arte”. La
sua stessa casa sembra un museo, un’eletta e privata “wunderkammer”, un luogo
delle meraviglie, un paradiso di bellezza e pace intellettiva dove idee,
ispirazioni, suggerimenti provenienti da ogni dove, si siano accumulati
incarnandosi in opere. Il primitivo e l’esotico, l’antico e il moderno, il
figurativo e l’astratto, così spesso presenti nell'arte contemporanea con il
loro effetto d’urto e contrasto, qui perdono la loro violenza provocatoria
perché resi compatibili, simbiotici, quasi familiari. La magia persuasiva
dell’eclettica creatività di Max, infatti, sorprende senza mai sconvolgere; la
sua arte è certamente eccentrica, ma anche, come dire… “domestica”. E quella
sottile vena d’umorismo, persistente anche nei passi più partecipi della sua
scrittura, quella serena forma di distacco che addolcisce il suo sguardo
indagatore o la stessa bizzarria, il gusto malizioso e divertito per il
paradosso, una volta decifrato il suo iniziatico linguaggio, non straniscono,
ma piacciono e rassicurano circa la legittimità e la credibilità di una
personalità plasmata da un progetto avventuroso ma coerente e necessario per
l’insopprimibile e ispirato bisogno di seguire una “stella”: Max ha sguardo
lungo sull'invisibile.
In questo suo
modo intimo di sentire e rappresentare il mondo, trovo interessante avvicinare
l’espressività creativa del “contrasto”- immanenza e trascendenza - a un altro
grande personaggio della cultura toscana: Piero Bigongiari, letterato e
collezionista d’arte, a lungo vissuto a Pistoia, i cui “testi nodali - Il caso
e il caos (1961) e L’evento immobile (1987) - documentano l’incessante
riproporsi e mutare della polarità caso-caos, nella loro funzione creativa,
meta-poetica, interpretativa e storicizzante del fare poesia” come scrive la
Professoressa Enza Biagini Sabelli. La stessa meta-poetica si può riscontrare
nei libri di Max, nelle opere del trentennale periodo figurativo come anche nei
recenti dipinti “astratti” in cui accentua la tendenza metafisica con una
trattazione predominante del tema “assenza-presenza”, ispirato da un forte
anelito religioso. Una trascendenza espressiva che giunge in ultimo approdo a
un equilibrio consapevole tra realtà visibile e la sua trasfigurazione
simbolica.
Verso la fine
del secolo passato, scavando più a fondo il senso ultimo della sua vocazione,
Max scopre, accoglie e abbraccia pienamente il mandato di una precisa missione:
la testimonianza: è il capitolo di svolta in cui il suo pensiero prende il
largo e, svincolato da ogni contesto, spazia su orizzonti aperti, sconfinati e
universali. Egli scrive:
“Ho amato
tutto quello che ho fatto, ma ora è capitolo chiuso: di tanto fare faccio salva
l’attualità”.
Voltata
pagina, la sua instancabile vena creativa focalizza l’attenzione sulla forza
penetrativa della comunicazione subliminale, il suo nuovo linguaggio elabora
formule complesse veicolate in colorate pillole emozionali a lento rilascio: all'osservatore non è richiesto nessuno sforzo per “capire”, è bastante solo
sostare davanti a un suo quadro per farne “esperienza”. A denominatore comune
d’ogni sua opera scritta o dipinta pone un unico soggetto: la TRASCENDENZA, la
“forma non forma”, “l’Altrove” come concetto e visione di una matura e sacrale
percezione interiore del mondo. Dal 2000, intitola simbolicamente la sua nuova
produzione “DEXTRA ET SINISTRA PARS MENTIS”, titolo esplicativo e
magniloquente, inventato un po’ per provocatoria ironia verso le accademie
della critica in auge, un po’ per riassumere in quattro parole intenzioni e
metodo del suo fare. Le composizioni di questo periodo pittorico sono “finestre
aperte” su spazi fluidi, specchio di pensieri in divenire tradotti in punta di
pennello a tracciare scenari solo apparentemente invisibili. In pochi mesi
rivoluziona radicalmente linguaggio e tematiche, ma senza discostarsi dalla sua
originale visione del mondo. In forma nuova, più esatta e più libera ritroviamo
nei suoi quadri “astratti” lo stesso modo usato un tempo nel trattare le scene
figurative, là dove ogni colore, con le sue multiformi e delicate tonalità,
plasmava visioni lasciando intravedere, come in un viaggio onirico, fotogrammi
di memoria che l’occhio percepiva lentamente. In questa nuova stagione la
sensibilità espressiva sembra diventata analitica, è ricorrente la sosta
contemplativa sulle piacevolezze di dettaglio che liberano visioni non per
addizione, ma attraverso sottrazione e sminuzzamento della forma ma,
sorprendentemente, proprio questa spoliazione di elementi e questa
frantumazione del reale sembra alla fine mirata ad un’estrema sintesi che
distilla “essenze”, concetti e formule. Sì, perché Max caratterialmente non si
lascia del tutto trasportare dall'estro, vero che non fa un passo senza
ispirazione, vero che è estemporaneo nelle prime mosse, ma vuole tenere e
sistematicamente tiene lucidamente il controllo del suo impulso creativo:
sottopone a giudizio della ragione il suo fare e guida a destinazione la spinta
emozionale per farne esperienza “esistenziale”, spiega. “Dextra et sinistra
pars mentis”, parte destra e parte sinistra del cervello, emotività e
razionalità convivono l’una in funzione dell’altra. Egli scrive: “La sintesi di
queste differenti facoltà organizza il pensiero che è tipica ed esclusiva
connotazione umana. Suo compito è ricucire uno strappo, sanare una lacerazione,
fare ritorno all’UNO, al nostro Paradiso perduto. Così l’arte, che è metafora,
interprete del Pensiero e testimone dello Spirito, tenta, in ogni sua
espressione, la sintesi degli opposti: l’armonica via che riconduce all'unità.
Sono presenti, in questi miei quadri, due diversi elementi: il colore e la
linea, la casualità e l’organizzazione, l’intuizione e il riconoscimento”.
L’imbastitura
non ragionata dell’opera, il tratto veloce, istintivo, rapido, caratteriale,
che itera archetipi impressi nel DNA - cifre inconsce della mente - compendiano
la fase riflessiva, dove il calcolo, la misura, il ritmo, la danza, fissano la
metrica opportuna, il criterio musicale idoneo a coordinare gli impulsi
dell’emotività al progetto.
“Due diverse
musiche, accordate come un canto e un controcanto, per evocare la meraviglia di
un ascolto stereofonico”.
Nel processo
compositivo di queste nuove opere è d’importanza primaria la linea che, pur
avendo apparente irrilevanza plastica perché raramente usata per disegnare o
racchiudere una forma, tuttavia, tracciata in tutti i modi possibili, fluida o
rigida, sinuosa o spigolosa, aggrovigliata, marcata, talvolta rude, tal altra
morbida o lieve come una piuma, è elemento sempre presente. Una linea che
appiattendo la spazialità volumetrica lascia prevalere l’oggettività di uno
spazio bidimensionale ovvio com'è ovvio ed evidente “il presente”, il tempo che
non concede campo all'immaginazione. Ma, sorpresa! Max, davanti ai nostri
occhi, con rapido gesto, compie uno dei suoi incantesimi ipnotici e con un
semplice scorrere a velatura del pennello sbalza il primo piano dallo sfondo.
Poi con l’uso del colore azzurro evoca nostalgie di distanze, creando
un’illusoria tridimensionalità che appare e scompare secondo chi e come viene
osservato il quadro. Un modo sperimentale per trasmettere un’esperienza
“immediata”: l’aleatorietà del reale percepito dai sensi. Una testimonianza e
un avvertimento. Allo stesso modo crea sull'opacità piatta del colore acrilico
gli effetti di lucentezza e pastosità degli olii, o la leggerezza evanescente
dell’acquerello a ribadire il concetto: la realtà percepita dai sensi è
ingannevole sia perché soggettiva sia perché è gravida di un’intrinseca
instabilità, perennemente suscettibile di mutazione come nelle sequenze dei
suoi film che sfumano i cambi di scena in dissolvenza:
“La vita è
sogno”, frase ricorrente nei suoi scritti.
E’ lo stile di
Max: manipolare il reale per provocare la coscienza, porre domande, suscitare
dubbi, stupire per attirare l’attenzione distratta, disorientare per far
riflettere, mostrare e nascondere per attizzare la curiosità, giocare con le
parole per indagare l’arbitrio a “fil di logica” e con la materia per
esplorarne i segreti. Di fatto le sue sperimentazioni pittoriche comprendono di
tutto: oli, pigmenti ossidi e terre in polvere, velature e opacità,
trasparenze, luci ed ombre, colori organici ed inorganici; tutto è repertorio
archeologico e contemporaneo per il suo spirito creativo e Max, ben conoscendo
l’alchimia di cui ogni opera d’arte è fatta, forza ogni elemento per provarne i
limiti, la versatilità, la resistenza e l’affidabilità su cui poi gettare le fondamenta
dei suoi aerei ponti verso l’Altrove, verso la Terra Promessa, il luogo santo
dell’eterna armonia.
“Dipingere il
mondo senza più descriverlo, suscitando miraggi” è il suo proposito.
Il suo
astrattismo, se così vogliamo definirlo, è un genere del tutto differente da
quello dei costruttivisti o dei neoplasticisti, perché rimane coerentemente
legato ad un preciso intento figurativo se non addirittura narrativo. Più
precisamente è fantastico, onirico, giocoso, molto lontano dalla morbosità di
alcuni surrealisti d’avanguardia.
Forse si può
dire che la “scrittura pittorica” di Loy è un amalgama di tensione emotiva che, sull'onda portante di un’endemica, metafisica e astratta nostalgia, ipotizza e
sogna paradisi di luce, serenità, silenzio, armonia; ma voler scandagliare il
suo multiforme uso dell’inciso, la propensione al divagare, al paradosso, all'invenzione e ai continui rimandi di cui è intessuto tutto il suo articolato
e complesso percorso creativo che getta luci cangianti su ogni sua opera,
bisogna ammettere è impegno esorbitante: o si sposa la sua causa sotto ipnosi,
affascinati dagli oliati ingranaggi del suo affabulare o ci si deve imporre un
limite, un formato, cioè individuare le costanti più salde e genuine della sua
arte rinunciando ad analizzare minutamente le molteplici metamorfosi e gli
infiniti meandri inesplorati della sua creatività, lasciando che il tempo
scelga per noi gli appuntamenti da non perdere per incontrarlo sempre su nuovi,
convergenti percorsi, a nuove altezze e nuove profondità. Bello è credere a una
maturità dei tempi in cui avremo chiara visione del mondo dentro e fuori di
noi, perché la comprensione di un autore complesso è sempre commisurata alla
nostra luce interiore.
Scrive Max:
“Non è lì dove
guardi la Poesia, abita altrove i luoghi dell’anima. Sferica è la sua
superficie, la sua verità si completa dietro una curva infinita. Lascia a noi
il pegno del viaggio e il conforto del tempo: un giorno capiremo i discorsi dei
grandi, riuniti a tavola, nell'altra stanza”.
Significa ora
lasciare ampio margine a inedite interpretazioni di quest’artista prismatico e
misterioso quanto multiforme e misteriosa è la vita.
Credo comunque
si possa giungere a considerare in toto l’opera di Max Loy come un
incalcolabile contributo a una visione del mondo a un tempo intima, introversa,
elitaria, iniziatica, ma anche estroversa, ironica, lirica, destinata fin anche
al grande pubblico e alle masse per l’evocativa armonia che emana. La sua Arte
travalica il mondo del conosciuto per tramutarsi, come la sua vita in favola.
La sua ispirazione è desiderio d’infinito, di ciò che i sensi non colgono. Il
suo tempo è l’altrove dell’anima, speranza universale di vita, fusa alla
memoria del passato come unico tempo del mondo. La sua opera è poesia e
continuo stupore.
Dalla
meraviglia nasce una nuova percezione del mondo.
Attraverso la
collisione col mondo, il suo pensiero, la sua pittura lo rinnova.
Storico
dell’arte e critico indipendente