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percorso professionale
A N T O L O G I A
mercoledì 27 aprile 2011
Recensioni da repertorio: il fraseggio nascosto, eco dell’anima universale.
Come si possa inserire un quadro d’arte moderna in un ambiente familiare, lo si può vedere a Villa de’ fiori, dove sono esposti in permanenza diversi quadri di Max Loy. Questo artista lo trovi facilmente nel suo studio in città, in via Abbi Pazienza, circondato sempre da cataste di tele e pannelli con un unico piccolo spazio che dedica a sé per dipingere. Dice di essere entrato nella seconda fase del proprio lavoro, quella aperta verso l’astratto, e non certo per moda, piuttosto per tener dietro con la “semantica dei segni e del colore” ai suggerimenti razionali, ma soprattutto emotivi del cervello. Ecco perché tutti i suoi quadri attuali si possono intitolare “Dextra et sinistra pars mentis”, una formula che ha preso come etichetta.
Max Loy era prima un figurativo che guardava molto alla forma che sapeva ormai dominare fin troppo bene. “Ma” confessa lui stesso “avevo esaurito ogni stimolo, per cui ho voltato pagina. Dal nuovo millennio, proprio dall’anno 2000, ascolto il fraseggio nascosto delle emozioni con atteggiamento passivo e spontanea contemplazione come quando ascolto la musica. I miei quadri” spiega “li concepisco come finestre aperte sull’inconscio di ciascuno dove ognuno possa trovarvi la propria personale fantasia, i propri sogni, ricreati nel loro mistero”.
Ma la sua non è arte istintiva appunto perché è sorvegliata dalla ragione. Lo si vede dagli equilibri cromatici e dai segni grafici che uniscono le varie parti del quadro quel tanto che basta. Perfino i forti contrasti convivono armonicamente, mentre il disegno si fa sottile e sotteso pentagramma su cui danzano percezioni come note di sinfonie novecentesche. Il ritmo è appunto un’altra conquista di Loy: “..la vita è ritmo..” osserva “…lo è tutto il creato.” Per cui la pittura che voglia rappresentarli non può non esprimere questa musicalità che è voce di vita quotidiana ed ancor più eco dell’anima universale.
Paolo Gestri
martedì 26 aprile 2011
Recensioni da repertorio: ricerca d’infinito
[...] Ho conosciuto solo recentemente Max Loy e mi sono trovato di fronte ad un pittore e ad una pittura veramente straordinaria. Entrando nel suo studio mi son sentito sommerso da un’ondata di immagini, di impressioni, irretito in un’atmosfera carica di emotività elettrizzante; non ho potuto restar seduto, ho dovuto girare per lo studio e per la casa, guardare, saziarmi di colori, riempirmi di emozioni, rasserenato dal commento pacato del pittore e di sua moglie sorprendentemente in contrasto con le violenze accese della tavolozza. In effetti mi sono trovato di fronte ad una pittura che, a prima vista, può sembrare sconcertante. Sconcertante anche per la mancanza di quella “coerenza di linguaggio” che normalmente si ritrova in un artista, almeno dal punto di vista formale.
Max ne dà una semplice spiegazione, afferma infatti che una “cosa” è importante finché non la si raggiunge, ripetere la stessa esperienza è inutile, è quasi un copiarsi, è vivere una vita già vissuta. Cestinata quella cosiddetta “coerenza” che troppo spesso diventa solo “marchio di fabbrica” qual’è dunque l’intento dell’artista? Quali sono i presupposti su cui si basa la sua poetica?
Risulta evidente che Max dipinge per sè, obbedendo solamente al suo sentimento, alla sua emotività, al suo desiderio di “ricerca” di sempre nuove esperienze che accarezzano un progetto d’ampio respiro che pone il punto di fuga, il nucleo gravitazionale, molto oltre i vicini orizzonti esplorati. Qualsiasi risultato raggiunto dunque non è definitivo, non è mai conclusione, ma un momento della sua arte; movimento e dinamicità animano la sua vita e le sue opere. Ha in mente qualcosa che forse ancora non comprende appieno, ma che lo guida con forza.
Nei suoi quadri di oggi vi è un mondo di colori esasperati e violenti provenienti da una lontana ed ineffabile sorgente di luce che determina una spasmodica ricerca di infinito dove i richiami naturalistici, sempre presenti, son posti quali ancore al pensiero astratto e fanno si che il mondo emozionale creato dai colori cada d’un tratto sulla terra, ed a questa si attacchi in maniera che il quadro sembri quasi un sogno nostalgico, un ricordo del mondo infantile.
Anche la tecnica non sfugge alla tematica della “ricerca” offrendo un panorama variegato d’uso del colore steso “a corpo” su supporti rigidi spesso enfatizzati da agglomerati materici alternati a velature diafane addensate nei solchi graffiti del disegno che alternano alla pastosità calda e morbida del colore ad olio la lucentezza vitrea della porcellana, inventando bassorilievi coloristici. [...]
Ugo Cavallero
lunedì 18 aprile 2011
Strano personaggio
(...) Tutti mi chiedono se i colori che uso sono ad olio, perché ormai è risaputo che, da un certo periodo in poi, i grandi maestri del passato hanno privilegiato questa tecnica. Quindi in questa domanda percepisco più il desiderio delle persone d’essere rassicurate in merito, che una reale curiosità e vedo sottinteso anche una specie d’esame nei miei confronti:
” se sei un vero pittore, userai certamente i colori ad olio”
Invece rispondo che non uso i colori ad olio e che dipingo in acrilico.
Già dire ”acrilico” non è dire ”acqua” perchè se dicessi che i miei colori sono ad acqua, mi volterebbero le spalle con sufficienza.
Comunque rimangono delusi, cento punti li ho persi di sicuro.
Perché io voglia perdere questi cento punti nessuno lo sa, ma diciamo che forse la mia risposta rientra più in generale nel mio stile di vita: dico che dipingo in acrilico perché, a dire il vero, io dipingo in acrilico.
Allora pongono la seconda domanda, si incuriosiscono del supporto, strano che non sia tela, cos’è? È medium Density, spiego, ma nessuno sa cosa sia il Medium Density. Allora io prendo un pannello, lo giro e faccio toccare con mano questo equivoco supporto che non è tela e neanche compensato, ma è realmente ed inequivocabilmente Medium Density.
” È cartone?” chiedono alla fine
” No, è Medium Density”
Chissà se hanno capito il concetto.
Saziata questa curiosità se ne vanno scontenti ed anche alquanto sconcertati d’aver incontrato uno strano personaggio che dipinge quadri senza titolo, senza tela e senza olio.
Noto poi che tutti si preoccupano per i miei quadri esposti al sole.
Il sole non gli fa niente, li rassicuro, ma non li faccio convinti, restano scettici e diventano taciturni perché hanno imparato le cose in un altro modo.
Tratto dal libro di Max Loy Costa dei fiori"
Tratto dal libro di Max Loy Costa dei fiori"
Pittura acrilica
La pittura acrilica è una tecnica pittorica nata in epoca relativamente recente. I colori sono prodotti con polveri colorate (pigmenti) mischiate con una resina acrilica di essiccazione variabile, generalmente veloce, a seconda delle resine, dei pigmenti e della fabbrica produttrice.
Vengono usati, oltre che per l'esecuzione di dipinti, per la decorazione muraria e quella degli oggetti più disparati, la loro buona resistenza unita alla veloce asciugatura ne fanno un prodotto di largo uso.
Caratteristiche della pittura acrilica è la rapidissima asciugatura, facile stesura e la traslucidità una volta asciutti. Il difetto degli acrilici è quello di non permettere la tecnica della sfumatura, come viene eseguita nella pittura ad olio. Infatti, la sfumatura con gli acrilici avviene a tratti, a gradini permettendo il passaggio da un tono all'altro, oppure con successive velature di colore diluito che vengano stese su colore asciutto. I colori acrilici sono tranquillamente mescolabili fra loro e come diluente è preferibile semplice acqua, utilizzabile anche per cancellare, prima dell'asciugatura, parti di colore.
Caratteristica fondamentale dei colori acrilici, che li differenzia dalle tradizionali tempere, è la loro indissolubilità una volta asciutti.
Alcuni tipi di colori acrilici sono sensibili alla luce che li fa schiarire, tipo i colori rosso-violacei e blu-violacei, perché creati con pigmenti derivati da composti chimici organici fotosensibili, a questo fenomeno si ovvia con una lacca di resina acrilica con filtro UV che protegge tali colori.
Per gli altri colori non c'è bisogno di fissativo perché la resina acrilica che li compone li fa resistere alla luce e agli agenti atmosferici, smog compreso.
Materia per creare: Medium Density Fiberboard
Si tratta di un legno artificiale. I legni artificiali sono costituiti da legno che è stato ridotto nei sui elementi fibrosi di base ed è stato ricostruito in un materiale stabile ed omogeneo.
I legni artificiali denominati Medium Density Fiberboard sono pannelli artificiali dotati di superfici lisce su entrambe le facce fabbricati con un procedimento a secco. Le fibre sono legate tra di loro con una resina collante sintetica. Hanno una struttura uniforme ed una trama fine che permette lavorazioni a macchina sia dei bordi che delle facce. Questo fa sì che i pannelli MDF possono essere lavorati come legno naturale, ed addirittura vi si possono sostituire in certi usi. Sono anche un eccellente substrato per piallacci, e prendono bene la pittura.
Il seme
Si sta d’incanto, c’è una ventilazione moderata e costante, l’acqua che mi circonda mi culla con un mormorio sommesso ed il sole pare mi illumini dentro.
Chiudo gli occhi e mi lascio un po’ andare.
Solo il senso del dovere mi impone di non assopirmi per questo impegno dello scrivere, perché è necessario porre questo seme ora e non domani: domani sarebbe tardi.
Sicuramente lascerò questo mondo con un’opera incompiuta, ma il quadro complessivo sarà pressoché completo (...)
Dopo questa intima chiacchierata con Dio dentro la quale s’è spenta ed è passata la scena di questo mondo, riapro gli occhi e torno alla realtà presente.
tratto dal libro di Max Loy "Costa dei fiori"
martedì 12 aprile 2011
L'opera finita
Quando dipingo ho sempre la possibilità di reinventare il quadro, in qualsiasi momento posso aggiungere o togliere qualcosa, ma anche qui, un certo punto, devo dire basta, devo espormi al rischio di dire la mia in quel contesto, sviluppando quelle premesse e quei presupposti se no, non finirei mai e non basterebbe tutta la vita per realizzare una sola opera.
Mi sono sempre chiesto quante informazioni, quante esperienze, quanto pensiero, quanto tempo, quanta acqua dovesse passare sotto il ponte prima di poter diventare me stesso.
Certo non si finisce mai di crescere, questo è vero, però, a Dio piacendo, avrei il desiderio di consegnare la mia vita come opera finita e, a voler essere magnifici, rifinita. E allora comincio a farmi i conti in tasca: quanto tempo mi resta? Se non sono eterno, conoscendo la complessità della fase finale di un quadro, stimo che è ora di fermarmi, rinunciare all’inventario delle possibilità di ulteriori sviluppi, allontanarmi di tre passi per riordinare le idee e fare unità di tutto, con coerenza e con bellezza.
In arte è così: si termina un quadro e poi se ne inizia uno nuovo.
Ma se il quadro sono io come funziona la cosa?
Mentre mi astraggo in questi cervellotici pensieri esistenziali cercando impossibili risposte, il mondo mi frulla intorno con il solito carnevale.
Tratto dal libro di Max Loy "Costa dei fiori"
Il viaggio nella materia
La scultura è un divenire, un prendere forma, un viaggio.
E’ ordinare e animare la materia a un senso, un significato.
Nelle sculture del Loy, che nasce pittore, si sperimenta la ricerca volumetrica delle figure femminili dei suoi dipinti. Nell’esplorazione del linguaggio scultoreo le forme scolpite riproducono lo spazio in profondità. Tanto da dare la sensazione di poter possedere la realtà creata.
Attenzione accurata dell’artista, infatti, viene posta nel pathos che le figure vogliono suscitare nello spettatore. In esse lo scultore ha inteso imprimere una sensazione di movimento, di sobrio e intimo posare, di espressione della profondità dell’essere specchiato nella forma. Rotonda, gentile, sensuale, accogliente. Sintesi tra saldezza monumentale e timidezza dell’anima, quest’ultima intesa come condensato delle caratteristiche femminili coesistenti nell’intimo di ogni uomo.
Attenzione accurata dell’artista, infatti, viene posta nel pathos che le figure vogliono suscitare nello spettatore. In esse lo scultore ha inteso imprimere una sensazione di movimento, di sobrio e intimo posare, di espressione della profondità dell’essere specchiato nella forma. Rotonda, gentile, sensuale, accogliente. Sintesi tra saldezza monumentale e timidezza dell’anima, quest’ultima intesa come condensato delle caratteristiche femminili coesistenti nell’intimo di ogni uomo.
Queste sculture sono capaci di rapire il nostro immaginario. Parlano al nostro profondo perché riproducono i nostri sogni nel silenzio e nel rispetto delle più personali suggestioni.
Questi legni, così sapientemente incisi, rimandano alla forza della loro materia: il legno appunto, materiale che simboleggia la spiritualità e l’energia vitale.
Questi legni, così sapientemente incisi, rimandano alla forza della loro materia: il legno appunto, materiale che simboleggia la spiritualità e l’energia vitale.
Le figure di donne in esso scolpite sono dee dal corpo sacro,
guide celesti della passione al servizio dell’arte.
Così rimangono, presenze misteriose, a testimoniare il legame fecondo e indissolubile con la nostra doppia realtà, sostanza ed essenza: il fondamento del nostro essere.
lunedì 4 aprile 2011
Riposare
(...)
Ma è ora di canoa, il mare ha qualcos’altro d’importante da dirmi anche oggi e non devo farlo aspettare.
Il vento soffia come ieri, obliquo alla costa, dal mare.
Direzione obbligata dunque, secondo la mia abitudine di partire controvento per far salvo il ritorno. Punto nuovamente verso Nora, baricentro in coda e prua sollevata per planare morbido sulle piccole e fitte increspature del moto ondoso in aumento. Ho buon allenamento e resistenza, ma la posizione è difficile, stanca soprattutto i tendini delle cosce, tese a squadra senza possibilità di riposo.
Avanzo lento, compensando il beccheggio con istintivi movimenti del corpo, allungandomi all’indietro all’irrompere di un’onda più alta per saltarla di prua e di nuovo inarco la schiena per ricadere leggero, senza sollevare spruzzi gelati, in una danza che mima un amplesso: faccio l’amore col mare!
La fatica è premiata, sono ancora asciutto ed è bene restare così perché non fa caldo.
La voga ha inserito il pilota automatico che libera l’istinto primordiale quiescente, il pensiero s’immerge in se stesso e lo sguardo vaga sull’acqua errabondo, alla ricerca del guizzo d’un pesce, scrutando impercettibili sagome all’orizzonte e vagliando ombre e luci sul fondo, spie di spiriti marini nascosti tra gli scogli sottocosta, prossimi alla riva, alla regione degli umani. Dalle lontananze sento a tratti raggiungermi il cupo rumore di qualche grosso motoscafo d’altura. Il vento porta per primo la notizia, ma segue la conferma dall’acqua che propaga velocemente le vibrazioni, molto prima che la vista sia informata del fatto. Questa è una garanzia per quando, abbandonato e sonnolento, mi lascio trasportare alla deriva ad occhi chiusi.
Ad occhi chiusi distinguo i suoni, calcolo distanza e direzione e li riapro a tempo debito rizzandomi a sedere, all’occorrenza agitando il remo perché mi vedano.
Ora avverto un rombo lontano, insolito, prolungato e sinistro che all’improvviso cessa. Forse è la deflagrazione di una mina nella cava che separa, chi sa fino a quando, casa mia dai veleni. Un mondo contaminato e precario”
Ed ecco che dalla breccia aperta da questa esplosione sortisce un’orda di dèmoni, assediano la mia barca, occhieggiano beffardi sott’acqua allungando le mani sui bordi, alle mie spalle, quasi a toccarmi. Hanno nomi che conosco e mi provocano a rissa sacrilega in tanta pace, intrappolano la mia mente nel vischio dei topi e non riesco più a staccarmi di dosso quell’indecente gomma americana che mi sputano addosso.
Allora mi organizzo, botta e risposta, a rintuzzare ogni arroganza, faccio causa, cito in tribunale e, alle strette, meno le mani perché con i dèmoni non si ragiona.
Ma sono stanco, vorrei riposare…
Posso riposare?!
domando ad alta voce a chi ha orecchie per udire.
Mi sdraio di nuovo e lascio passare il tempo.
Lentamente mi calmo.
Quando sollevo piano la testa per controllare la deriva, con mia sorpresa mi trovo prossimo a terra, nell’acqua bassa della baia di Costa dei fiori, dove il fondo è un gioco di riflessi azzurro e oro che sono i colori dei miei quadri e della serenità che inseguo.
Allora mi rizzo a sedere e mi volto verso la lontana torre di Nora, che domina dall’alto la leggendaria città sommersa, con il sospetto che quel tratto di mare non mi sia propizio: domani batterò un’altra rotta.
tratto dal libro di Max Loy "Costa dei fiori"
Dietro l’immagine: il posizionamento del profilo
E’ noto che i pittori preferiscono ritarre i volti di tre quarti. Questa posizione infatti conferisce al viso maggior vividezza, profondità e spessore, grazie ai giochi di luce ed ombre che l’artista è in grado di realizzare. Anche il nostro artista, Max Loy, non fa eccezioni al riguardo.
Ma qual è il significato inconscio di questa scelta estetica. Cosa ispira a scegliere l’orientamento del viso? Qual è l’influenza che tale scelta induce nel fruitore dell’opera? Quale messaggio veicola?
Osservando i ritratti di Max Loy (ma questa caratteristica, come si è accennato, possiamo riscontrarla anche in altri artisti) notiamo che le donne prevalentemente vengono ritratte privilegiando la parte sinistra del volto o del corpo. Il posizionamento genera, nella componente più ancestrale e istintiva del cervello, una influenza inconscia che induce la percezione di una particolare sensazione.
Anche in questa tematica sono importanti i simboli articolati quali inconsci archetipi immaginativi.
In particolare, nel senso comune, la donna ha maggiore predisposizione verso l’inconscio... verso ciò che sta nel profondo... La psiche femminile è più rivolta verso l’anima.. La donna è emozione... intuisce.. sogna e crea.. è sintesi.. è luna..è calda emozione.. è sensibilità...è passione... è arte....
Le caratteristiche qui descritte sono quelle coincidenti con l’emisfero destro del nostro cervello: intuitiva-olistica (cioè sintetica, globalizzante, induttiva). Ricordando che le due diverse parti del cervello comandano in modo incrociato le parti del corpo è facilmente intuibile che orientare in un ritatto il viso o il corpo alla parte sinistra si evoca nello spettatore le caratteristiche consone alla direzione scelta. Cioè: la fantasia, la creatività, l’intuizione, la spontaneità, i sentimenti.
Ovviamente tale orientamento viene apparentemente scelto da motivazioni prevalentemente estetiche dall’artista. Ciò in quanto il nostro pittore, proprio in quanto artista intuitivo, non individua coscientemente tale significato. Per lui ciò che importa è la bellezza, l’estetica dell’immagine, la qualità dei soggetti dipinti che generano sensazioni piacevoli che rimandano a contenuti emozionali positivi e di valore etico.
sabato 2 aprile 2011
La simbologia di un quadro di Max Loy
(si consiglia la visione cliccando sul quadro)
Come spesso ricorre nei quadri di Max Loy, si trova il mare. Il mare evoca il “brodo primordiale” nel quale l’esistenza si crea e si rinnova. Rimanda alla vita, alla madre generatrice che può dispiegare tutta la sua carica “terribile ” e diventare strumento di distruzione e di dolore.
Unito al mare vi è sempre l'orizzonte. Esso rappresenta ciò che contiene ogni cosa entro di sé e delimita un significato. Come tale è fonte di consapevolezza della finitezza, ma nel contempo simboleggia sempre un nuovo inizio. E’ il continuo stato di crescita, di rinascita e rigenerazione.
Troviamo qui un altro elemento ricorrente: le colonne di luce.
Esse richiamano l’energia fisica, la forza psicologica. Sono un simbolo di elevazione e di responsabilità.
Il fascio di luce invece evoca il ritrovamento della verità di una realtà. La luce che unisce la terra al cielo suggerisce un necessario muoversi verso un maggiore livello di consapevolezza e sentimento.
Questi fasci di luce però paradossalmente qui, anziché chiarire il significato, sembrano annebbiarlo.
Chiave di interpretazione della realtà ultima e urgente, orizzonte focalizzato resta per il Loy il quadro a tinte accese che contrasta con la restante superficie, mediata, trasfigurata, smorzata dalla luce.
L’artista ancora propone la sua chiave interpretativa della realtà. Tutto viene filtrato, interpretato, decodificato attraverso il dipinto. Il dipinto è la chiave. L’artista, coglie significato di ogni cosa nel dipingere, nel sentire e nell’esprimere tramite il pennello i sentimenti ancora forti, cupi, contrastanti della sua vita. Essi sono tali da necessitare un loro riequilibrio, da essere stemperati dalla bruma del tempo. Dal tramonto del sole che lancia ancora solenne i suoi bagliori.
Il dipinto è mare in movimento che risuona del fragore di onde che si infrangono su scogli irriducibili e immoti. Onde di dipinti accesi di passione e di terra.
In questo quadro si percepisce però anche la tonalità della nostalgia: le lontananze abitate, forse il miraggio di quiete trasparenze.
Nello scorrere del tempo: calma che prelude la sera.
Silenzio e oblio
Ciò che resta è meraviglia e armonia.
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