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domenica 15 maggio 2011
Il rifugio: risposta all’impermanenza?
Qui sto da dio.
Coriandoli di alghe secche volano in alto, alla mia sinistra, dove tengo fisso lo sguardo a mezza altezza, tra me e l’orizzonte. Contemplo l’incandescente riverbero del sole sull’acqua, nebuloso agglomerato di stelle che brillano come flash di paparazzi alla visita di un capo di stato.
Il mare è calmo, chiazzato di verde, di blu, d’azzurro e di grigio in risposta al cielo, dove viaggiano nuvole cariche d’acqua.
Ma ho parlato troppo presto, ecco, già sento le prime gocce e devo interrompere alla svelta di scrivere. Sollevo il quaderno e lo dispongo di taglio per non farlo bagnare. Io invece non ci riesco (a mettermi di taglio), mi ripara, per quanto è possibile, la falda del cappello di paglia e lo stillicidio sulla pelle nuda e calda di sole mi procura brividi di freddo.
Stavo benissimo solo un secondo fa, mi ero trovato questo angolo di paradiso riparato dal vento, protetto dalla montagna d’alghe accumulate dalle mareggiate in tante stagioni, ma ora devo rassegnarmi ad andare via: il cielo s’è fatto più scuro, piove e pioverà ed io, dopotutto, non ho motivi esagerati per intestardirmi a restare.
Mi alzo con rammarico, incalzato da una pioggerellina più fitta che è solo l’avanguardia di una nube nera in rapido avvicinamento.
Peccato! Il mare m’ispirava, questo posto m’ispirava ed anche questo tempo instabile, vento fresco, sole caldo, nuvole, luce, ombra avevano una splendida consonanza col mio spirito ed era scoccata la scintilla: chissà quali poesie avrei scritto, chissà cosa s’è perso il mondo.
Mi rifugio nella mia capanna come quando ero bambino, quando speravo che piovesse per provare la tenuta del tetto, felice d’essere stato l’accorto ingegnere di quella intimità protetta.
tratto dal libro di Max Loy "Costa dei fiori"
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