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percorso professionale
A N T O L O G I A
martedì 26 aprile 2011
Recensioni da repertorio: ricerca d’infinito
[...] Ho conosciuto solo recentemente Max Loy e mi sono trovato di fronte ad un pittore e ad una pittura veramente straordinaria. Entrando nel suo studio mi son sentito sommerso da un’ondata di immagini, di impressioni, irretito in un’atmosfera carica di emotività elettrizzante; non ho potuto restar seduto, ho dovuto girare per lo studio e per la casa, guardare, saziarmi di colori, riempirmi di emozioni, rasserenato dal commento pacato del pittore e di sua moglie sorprendentemente in contrasto con le violenze accese della tavolozza. In effetti mi sono trovato di fronte ad una pittura che, a prima vista, può sembrare sconcertante. Sconcertante anche per la mancanza di quella “coerenza di linguaggio” che normalmente si ritrova in un artista, almeno dal punto di vista formale.
Max ne dà una semplice spiegazione, afferma infatti che una “cosa” è importante finché non la si raggiunge, ripetere la stessa esperienza è inutile, è quasi un copiarsi, è vivere una vita già vissuta. Cestinata quella cosiddetta “coerenza” che troppo spesso diventa solo “marchio di fabbrica” qual’è dunque l’intento dell’artista? Quali sono i presupposti su cui si basa la sua poetica?
Risulta evidente che Max dipinge per sè, obbedendo solamente al suo sentimento, alla sua emotività, al suo desiderio di “ricerca” di sempre nuove esperienze che accarezzano un progetto d’ampio respiro che pone il punto di fuga, il nucleo gravitazionale, molto oltre i vicini orizzonti esplorati. Qualsiasi risultato raggiunto dunque non è definitivo, non è mai conclusione, ma un momento della sua arte; movimento e dinamicità animano la sua vita e le sue opere. Ha in mente qualcosa che forse ancora non comprende appieno, ma che lo guida con forza.
Nei suoi quadri di oggi vi è un mondo di colori esasperati e violenti provenienti da una lontana ed ineffabile sorgente di luce che determina una spasmodica ricerca di infinito dove i richiami naturalistici, sempre presenti, son posti quali ancore al pensiero astratto e fanno si che il mondo emozionale creato dai colori cada d’un tratto sulla terra, ed a questa si attacchi in maniera che il quadro sembri quasi un sogno nostalgico, un ricordo del mondo infantile.
Anche la tecnica non sfugge alla tematica della “ricerca” offrendo un panorama variegato d’uso del colore steso “a corpo” su supporti rigidi spesso enfatizzati da agglomerati materici alternati a velature diafane addensate nei solchi graffiti del disegno che alternano alla pastosità calda e morbida del colore ad olio la lucentezza vitrea della porcellana, inventando bassorilievi coloristici. [...]
Ugo Cavallero
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