Così era ricorso all’espediente efficace di tirar sassolini nell’acqua perché sempre, quando aveva la fortuna di poter tirare qualche pietruzza nell’acqua, era parimenti riuscito a fare qualche bel pensiero sostanzioso. Lui osservava il sassolino sprofondare nell’acqua e scomparire nel “misterioso” fondale, poi seguiva il moltiplicarsi dei cerchi all’infinito e dopo una mezz’oretta passata così, era in grado di pronunciare, con animo sereno, mirabili sentenze che allungavano la lista degli aforismi famosi di tutti i tempi. Un patrimonio di inestimabile valore per l’umanità, che i suoi figli apprezzavano veramente tanto. Poi, visto che c’era vento e che lui sapeva l’aria essere uno dei quattro elementi primordiali, coscienziosamente si era messo in ascolto, nel caso che il vento avesse qualcosa di personale da dirgli. Aveva chiuso gli occhi (stanchi avrebbe detto), quegli occhi che, effettivamente, continuavano a guardare da quarantanove anni, pur senza distinguere gran che nel dettaglio, ed era rimasto così, per riposare un po’. Mezzo secondo netto, per la precisione. Voleva fare silenzio dentro di sé, far tacere il tumulto del pensiero (sic!)…. E accettare d’essere portato dal tempo come l’acqua che gli scorreva gorgogliando accanto (il torrente era in secca). Tutto per giungere ad una confessione pubblica di grande impatto emotivo: “non era lui il salvatore di se stesso, né di alcun altro, ma solo un viaggiatore un po’ stanco” termine insistito “che aveva visto una parte del mondo, non tutto il mondo, ma una parte, una piccola parte e che poteva raccontare la sua storia a chi avesse voluto ascoltarla.”
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lunedì 11 ottobre 2010
Il salvatore
Quel giorno Luca era sceso al torrente e si era seduto sulla base di cemento dell’acquedotto che serviva il vicino centro di Spedaletto due chilometri più a monte e cento metri più in basso. Era rimasto lì a far sbollire il malumore guardando l’acqua limpida e verde di una pozza. Aveva fatto tutte le sue solite considerazioni e s’era posto tutte le sue abituali domande. S’era chiesto quale fosse il suo nome, quanti anni avesse e se la vita fosse già tutta lì, alle sue spalle, cosa che si continuava a domandare da quando aveva compiuto vent’anni. Poi aveva fatto l’altra bella constatazione d’aver già dei figli ormai grandi. Allora com’era sua abitudine s’era accarezzato la barba provando piacere nel saperla brizzolata. Poi era rimasto a guardarsi una mano perché non gli veniva in mente più niente di altrettanto interessante.
Così era ricorso all’espediente efficace di tirar sassolini nell’acqua perché sempre, quando aveva la fortuna di poter tirare qualche pietruzza nell’acqua, era parimenti riuscito a fare qualche bel pensiero sostanzioso. Lui osservava il sassolino sprofondare nell’acqua e scomparire nel “misterioso” fondale, poi seguiva il moltiplicarsi dei cerchi all’infinito e dopo una mezz’oretta passata così, era in grado di pronunciare, con animo sereno, mirabili sentenze che allungavano la lista degli aforismi famosi di tutti i tempi. Un patrimonio di inestimabile valore per l’umanità, che i suoi figli apprezzavano veramente tanto. Poi, visto che c’era vento e che lui sapeva l’aria essere uno dei quattro elementi primordiali, coscienziosamente si era messo in ascolto, nel caso che il vento avesse qualcosa di personale da dirgli. Aveva chiuso gli occhi (stanchi avrebbe detto), quegli occhi che, effettivamente, continuavano a guardare da quarantanove anni, pur senza distinguere gran che nel dettaglio, ed era rimasto così, per riposare un po’. Mezzo secondo netto, per la precisione. Voleva fare silenzio dentro di sé, far tacere il tumulto del pensiero (sic!)…. E accettare d’essere portato dal tempo come l’acqua che gli scorreva gorgogliando accanto (il torrente era in secca). Tutto per giungere ad una confessione pubblica di grande impatto emotivo: “non era lui il salvatore di se stesso, né di alcun altro, ma solo un viaggiatore un po’ stanco” termine insistito “che aveva visto una parte del mondo, non tutto il mondo, ma una parte, una piccola parte e che poteva raccontare la sua storia a chi avesse voluto ascoltarla.”
Così era ricorso all’espediente efficace di tirar sassolini nell’acqua perché sempre, quando aveva la fortuna di poter tirare qualche pietruzza nell’acqua, era parimenti riuscito a fare qualche bel pensiero sostanzioso. Lui osservava il sassolino sprofondare nell’acqua e scomparire nel “misterioso” fondale, poi seguiva il moltiplicarsi dei cerchi all’infinito e dopo una mezz’oretta passata così, era in grado di pronunciare, con animo sereno, mirabili sentenze che allungavano la lista degli aforismi famosi di tutti i tempi. Un patrimonio di inestimabile valore per l’umanità, che i suoi figli apprezzavano veramente tanto. Poi, visto che c’era vento e che lui sapeva l’aria essere uno dei quattro elementi primordiali, coscienziosamente si era messo in ascolto, nel caso che il vento avesse qualcosa di personale da dirgli. Aveva chiuso gli occhi (stanchi avrebbe detto), quegli occhi che, effettivamente, continuavano a guardare da quarantanove anni, pur senza distinguere gran che nel dettaglio, ed era rimasto così, per riposare un po’. Mezzo secondo netto, per la precisione. Voleva fare silenzio dentro di sé, far tacere il tumulto del pensiero (sic!)…. E accettare d’essere portato dal tempo come l’acqua che gli scorreva gorgogliando accanto (il torrente era in secca). Tutto per giungere ad una confessione pubblica di grande impatto emotivo: “non era lui il salvatore di se stesso, né di alcun altro, ma solo un viaggiatore un po’ stanco” termine insistito “che aveva visto una parte del mondo, non tutto il mondo, ma una parte, una piccola parte e che poteva raccontare la sua storia a chi avesse voluto ascoltarla.”
Tratto dal libro "Racconto in bianco e nero" di Max Loy
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