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A N T O L O G I A
sabato 8 ottobre 2016
Lo stile
...
Dunque lo stile ...
Lo
stile in fin dei conti siamo noi, è la nostra grafia. Dico grafia e non
calligrafia, perché questa parola di origine greca significa bella scrittura e
non sempre il nostro stile è quel che si intende per una bella scrittura.
Oggi
poi, di belle scritture ne esistono veramente poche, perché s’è perso il gusto
dello scrivere ed il rispetto per chi legge. Poco male non essere più cultori
della forma, come nel periodo vittoriano. Tuttavia la forma, che non ha un
valore di per sé, è sempre segno di qualcos'altro, che invece ha importanza.
Faccio un esempio efficace: l’ordine e la libertà, sono la grafia, anzi la
calligrafia di Dio e l’universo è l’opera che Dio ha scritto con la sua bella
scrittura. La figura cui questa bella figura si addice non può essere diversa
dalla persona di Gesù, vale a dire che lo stile coincide con la persona: il
Verbo si è fatto carne, il che significa quindi che porsi un problema di stile
equivale a porre il medesimo problema sul piano esistenziale.
La
questione esistenziale non è evidentemente una questione formale, ma di
sostanza, è una ricerca del valore e fa capo alla metafisica della qualità,
come insegna il nostro caro amico Pirsig nei suoi due libri “Lo zen e l’arte
della manutenzione della motocicletta” e “Lila”.
Ed
è necessario che il rarefatto mondo delle idee non possa restare avulso
nell'impensabile spazio primordiale che precede la creazione, deve seguire il
destino scelto liberamente dal Creatore, deve contemplare ed adempiere il
mistero dell’incarnazione, deve prendere forma.
Se
Dio si coinvolge con la Storia, assume un corpo ed un nome e cammina per le
nostre strade, anche noi dovremo assumerci la responsabilità di essere
“eucaristicamente” presenti nelle nostre opere, la cui forma non potrà essere
arbitraria, ma al contrario determinata dal nostro stile, di cui dovremo
rispondere, innanzi tutto a noi stessi, poi davanti agli uomini e quindi a Dio,
come in una prova del nove di verifica.
Le
nostre opere ci interrogano ed attendono da noi una risposta di stile, che
è innanzi tutto coerenza, coscienza e responsabilità.
Vedete,
qui il caso non c’entra.
Chi
ipotizza il caso se ne infischia della coerenza e della responsabilità e crede
stranamente ai miracoli, senza credere in Dio. Pretende l’assurdo solo per
evitare la responsabilità che, ammetto sia un grave peso, ma è ineludibile.
La
responsabilità è una roccia, una montagna: non si sposta. Tutti i nostri sforzi
per sgombrare lo spazio della nostra coscienza dalla responsabilità non
smuovono di un millimetro questa roccia che occupa tutto lo spazio della
realtà. Non vedere la responsabilità non significa minimamente aver eluso il
problema, aggirato lo scoglio, ma semplicemente che stiamo camminando con gli
occhi chiusi.
Un
pittore che tenti di comprendere e di dipingere il mondo ad occhi chiusi è un
pittore cieco. Ma Dio è grande, grande nella misericordia: pone sulle nostre
spalle un giogo leggero. Con tutta la buona volontà non comprenderemo mai
quanta responsabilità abbiamo avuto.
Al
giorno d’oggi non ricordiamo nemmeno che esiste un peccato di omissione.
L’omissione? E che cos'è? Provate ad interrogare il caso, chissà che risposta
potrà inventare
A
questo punto il mio stile suona la campana di primo round, mi impone un break,
perché mi sono ricordato all'improvviso che dipingere è un gran divertimento.
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