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domenica 12 giugno 2011
Recensioni da repertorio: Il realismo magico di Max Loy
Max Loy ha cominciato a dipingere fin dall’adolescenza perciò oggi, pur essendo giovanissimo, ha dietro le spalle oltre dieci anni di intensa attività, di esperienze stilistiche diverse, di ricerche rese più puntigliose e meditate dal suo autodidattismo, dalla sua incontentabilità, che è segno certo di impegno e di fermezza nei propositi, ma soprattutto dalla complessità del suo mondo poetico e della sua tematica.
Da quest’ultima specialmente traspare e s’indovina l’angoscia esistenziale che travaglia tutta la sua generazione, l’anelante ricerca di un approdo su una spiaggia certa, il bisogno tormentoso di inventare nuovi miti, che rinverdiscano l’aridità del presente e consolidino la precarietà del nostro viaggio in questa stagione deserta di favole.
La sua pittura è densa di simboli. Alcuni sono palesi e decifrabili come l’allegoria di Orfeo ed Euridice, oppure come quella della sfera effimera di cristallo, che potrebbe anche essere una bolla di sapone e che, iterata ostinatamente nei suoi quadri, raffigura appunto un’immagine di vanità. Altri sono meno accessibili, anche perchè scaturiscono dall’inconscio e pertanto restano forse enigmatici allo stesso pittore, che come tutti gli artisti prodighi di immaginazione non sempre può spiegare con una equazione logica tutti i motivi della sua ispirazione e della sua ottica.
Il simbolismo di questa pittura non è però astratto, nè nebuloso perchè, indipendentemente dalle significazioni recondite e concettuali, il suo linguaggio è franco, esplicito e di immediata intelligenza. Perciò si può parlare di un realismo magico sostenuto da un discorso cromatico caldo e smagliante di toni, da un racconto lirico risolto con palpitante concretezza.
I paesaggi assorti e le figure emblematiche che si compongono con fertile estrosità e vivono nelle sue opere, anche per l’accento esotico che spesso anima gli uni e per la fissità trasognata che caratterizza le altre, vibrano di un tremore ancestrale e richiamano ai grandi silenzi di un’età primigenia ed incontaminata.
Di quel paradiso perduto e rimpianto da Max Loy e da tutta la sua generazione infelice con nostalgia bruciante.
Di quell’Eden, che, insieme all’infanzia ed all’innocenza scadute, questo pittore così sensibile al dramma del suo tempo cerca di evocare con cuore trepido per donare a se stesso ed a chi sa ascoltarlo e intenderlo il conforto del sogno.
E dunque l’illusione di una tregua serena e quella evasione che soltanto la fantasia degli artisti e quella loro virtù di trasfigurare la realtà, anche la più dolorosa ed ostile, sanno largire generosamente agli uomini che hanno ancora fede nella poesia.
Marcello Serra
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