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martedì 7 dicembre 2010
Recensioni da repertorio: malinconiche cromie
Max Loy è tra i pochi artisti che non affida a fumisterie il suo messaggio poetico. Egli infatti, riciclando le emozioni che gli pervengono dal mondo esterno, conoscendo lo sgomento derivante all’artista dai gusti della società: degradazione della natura, perversione dell’umano, violenza folle e cruenta, si è trovato di fronte ad un’alternativa classica quanto mai stressante: fuga verso la sfera della “non oggettività”, verso il fascinoso mondo dell’astrazione, dove segni e cromie sono deputati ad aristocratizzare il linguaggio così da renderlo tanto elevato quanto estraniante per erigerlo a difesa della propria incolumità psichica; accettazione della realtà tragica del nostro tempo e dei segnali che ne identificano il suo processo costruttivo da sottolineare con una pittura che non può essere approssimativa perchè deve cogliere il massimo delle adesioni onde raggiungere i fini denunciatori prefissi.
Di fronte a tale alternativa, quel sottofondo di estrema serietà che sostanzia la sua personalità suggerisce a Max Loy di muoversi nell’ambito del realismo, cioè di una pittura detta declamata, possibile a patto di un affinamento dei mezzi espressivi, marcata dalla esaltazione della linea chiusa, dalla propensione per la figura umana intesa come la più idonea a farsi carico di un racconto veristico e, come tale, il più ampliamente comprensibile.
Max Loy tuttavia, non getta alle ortiche le sue esperienze astratte, non si concede all’iperrealismo statunitense che esibisce esiti da Polaroid con assoluto agnosticismo, non rinuncia ad inquinare il realismo delle sue opere, simili a scenografie, con elementi di un simbolismo carico di tensione morale, di sotterranee vene metafisiche. Alludo alla sfera di cristallo che - nella riluttante spiegazione di Loy – identifica lo spirito dell’artista teso alla purezza, alla trasparenza, alla spiritualità; alludo alla piuma ondivaga, che rappresenta la seduzione dei sogni, alla compresenza di animali rutilanti, perfetti nella loro vanità, all’esplodere delle cromie allertate contro le cadute attentive del fruitore, all’aprirsi dei cieli che solcati da nubi, in uno sprazzo di solarità fa da polo di scarico per l’eccesso di tensione.
In questo periodo assistiamo ad un nuovo balzo in avanti della narrativa di Max Loy che ha arricchito il suo bagaglio tecnico di antichi segreti (quale la velatura) e che propende verso colorazioni che dai bruni (colori terragni, propri di chi possiede avidità del reale) vanno spostandosi verso gli azzurri-grigi ed i rosati che nella psicologia applicata alle cromie identificano il raggiungimento degli stadi psichici più maturi.
Per questa dolce malinconia, per una felicità forse ricevuta in dono e poi smarrita e pian piano riconquistata con faticosa e quotidiana riscoperta dell’uomo,intravedo un nuovo e più fertile periodo neo-figurativo collocarsi nell’itinerario dell’artista: un percorso il suo, volutamente non facile, ma al cui retto svolgersi molto contribuirà l’adesione dei tanti estimatori su cui Max Loy può contare.
Aberto Scotti
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