Nell’opera d’arte qualcosa è rappresentato e si offre alla vista, ma qualche altra cosa nello stesso tempo ci guarda, ci ri-guarda. Nella visibilità del quadro è in opera qualcosa che non si lascia cogliere e che, come l’oblio, resta sempre altro rispetto a ciò che possiamo ricordare.
L’arte astratta fa appello all’occhio spirituale, ossia allo sguardo, e ciò comporta il rifiuto della tradizionale distinzione soggetto-oggetto, dal momento che l’oggetto è in tale prospettiva un soggetto che ci cattura proprio mentre lo guardiamo.
L’astrattezza del segno, la sua non-rappresentatività, è quindi la manifestazione della sua «risonanza interiore», ossia della sua «spiritualità».
Già la mistica tedesca medievale affermava, con Meister Eckart, che, come Dio agisce al di là del mondo dell’essere, così l’anima, che è in grado di rappresentarsi le cose che non sono presenti, opera nel non-essere; un’analoga operazione compie il pittore astratto, che nientifica il mondo naturale delle cose, dando vita a un mondo di entità non-oggettive, inesistenti e tuttavia reali.
tratto da “Icona e arte astratta”
di Giuseppe Di Giacomo