tutte le immagini dei quadri, delle sculture ed i testi tratti dai libri dell’artista sono © di Max Loy


..."Il raggio verde è una luce visibile per brevi secondi nelle chiare serate estive, subito dopo il tramonto del sole.

In metafora è qualcos’altro di più significante, una luce interiore che va cercata lì dove ha dimora: nel silenzio.



raccolta di immagini, testi e pensieri di Max Loy ...

e di quant'altro attinente alla sua arte

.

..........................Informazioni personali......................... M A X . L O Y

La mia foto
Studio: via Abbi Pazienza 14 – C.A.P. 51100 Pistoia cell. 3389200157 mail - info@maxloy.com

In these paintings of mine there are two different elements: colour and shape, casualty and organization, intuition and recognition. Two different types of music combining melody and a countermelody evoking the marvel of a stereophonic listening.


ACCOMODATI, SEI IL BENVENUTO !

Introduzione alla Sua arte

Esposizione virtuale delle opere di Max Loy.

“E’ così: ogni azione e ancor più manifestamente quelle dettate dal sentimento, affondano le radici in una regione misteriosa dalla quale ogni gesto assume un significato trascendente che è caratteristico della figura dell’uomo: egli trascende se stesso, così le sue azioni sono allegorie, immanenza e trascendenza insieme.

Questo è un mistero grande, l’unico.”

data inizio blog: 8 ottobre 2009


per gli inserti redazionali consultare

le PAGINE ALLEGATE


http://maxloy-itaca.blogspot.com/p/auguri-dalla-redazione.html


http://issuu.com/maxloy1950/docs/inseguendo_il_raggio_verde_libro

@book LA MIA STRADA

@book  LA MIA STRADA
clicca sull'immagine

mercoledì 29 maggio 2013

La relazione


La parola relazione deriva dal verbo latino religare che vuol dire legare insieme:
la relazione o re-l-azione è l'azione che porta a legare insieme cose e persone;
la capacità di creare dei legami.


L’uomo contemporaneo si è decisamente proiettato verso un’autonomia e una separatezza del tutto inospitali; ha posto nell’oblio più assoluto ogni relazione con l’altro che non sia funzionale alla specifica affermazione di sé. L’autoreferenzialità etica e la fuga da forme troppo impegnative di intimità affettiva, di appartenenza, sembrano costituire la sintesi estrema della sua condizione attuale.  
La relazione tra individuo e società, tra io e altro, sembra essere pervenuta a un vicolo cieco, che rischia di intaccare in modo irreversibile l’essenza dell’uomo e la sopravvivenza stessa del genere umano.  Affermata come non mai la propria individualità, asserita con vigore la propria differenza nei confronti della comunità, l’uomo di oggi avverte come “tragica” la distanza che lo separa dall’altro e che lo rende, a sua volta, irraggiungibile. Ormai annichilito dalla solitudine e dall’assenza di ogni significato condiviso, attraverso modalità spesso distorte e aberranti, egli continua tuttavia a esprimere ancora il suo insopprimibile bisogno di incontro con l’altro, manifesta la sua incontenibile “fame” di relazionalità. Nel suo travagliato “rivelarsi”, l’uomo è pervenuto oggi a uno snodo molto delicato della sua storia. Egli, infatti, è alla ricerca di un nuovo modo di relazionarsi in cui “appartenenza” e “differenza” possano finalmente coesistere insieme; attende lo svelarsi di un modello relazionale in grado di coniugare il suo vitale bisogno di appartenere (all’altro, alla comunità) e la sua legittima istanza di individuarsi, di differenziarsi. 


Emerge oggi con evidenza un modello antropologico che pone l’accento sulla dimensione relazionale dell’uomo. Non è l’individuo, ma l’essere con, l’incontro con l’altro, l’aspetto che viene posto in maggiore evidenza. In questa prospettiva, l’apertura all’altro e il “riconoscimento” di esso, individuati come aspetti centrali e salienti dell’esperienza intersoggettiva, divengono elementi originari e costitutivi per ogni uomo.
Ciascun sé, infatti, è “rivelato” a se stesso dall’altro e viceversa. La possibilità che il sé ha di definirsi, di emergere, di “individuarsi”, è legata inequivocabilmente alla concreta e reale presenza
dell’altro. L’incontro e il confronto con il mistero racchiuso in questa presenza permette al sé di aprirsi al mistero di se stesso e a quello della comune origine.  Tuttavia, ci sembra di poter affermare che, riscoperta e “riabilitata” l’alterità, sia necessario adesso una più adeguata e specifica attenzione alla dimensione della relazionalità in quanto tale.

La relazione intersoggettiva, infatti, appare con sempre maggiore evidenza come bisogno psicologico primario, nella quale si rintraccia il DNA delle relazioni umane, la chiave di lettura necessaria per comprendere, al contempo, lo sviluppo umano, la capacità di empatia e di altruismo, ma anche il disagio psichico, e il significato autentico dei rapporti sociali.
Lo spazio che intercorre tra la realtà dell’io e la realtà dell’altro costituisce, infatti, una realtà terza verso la quale occorre forse esprimere una riflessione ancora più attenta e approfondita.
Quali elementi qualitativi devono contraddistinguerla perché essa possa adeguatamente costituire l’interfaccia in grado di farci “raggiungere” l’altro e di “svelarci” a noi stessi?
Tra Sé e altro, tra individuo e società, si delinea una dimensione terza per lungo tempo trascurata: la relazione di reciprocità. Quest’ultima costituisce un paradigma relazionale, ben definito, con caratteristiche qualitative sue proprie, che lo differenziano e lo contraddistinguono da ogni altro tipo di relazione. 

Essa non è la relazione vista in funzione dell’individuo (dell’Io, dell’interno, dell’organismo, ecc.) o in funzione dell’altro (della società, dell’esterno, del sistema, ecc.), ma è la relazione in quanto tale, considerata come dimensione reale a sé stante, distinta dalle altre due, fra le quali si frappone come ineliminabile interfaccia. Essa è lo spazio in cui si producono le differenze ed è possibile la loro accoglienza; è il luogo in cui le due parti in causa possono, a vicenda, riconoscersi e prendersi cura, sperimentando l’altro come termine di riferimento coessenziale alla propria stessa esistenza e al proprio disvelarsi 
 Il riconoscimento reciproco è uno dei processi psicologici più importanti per l’elaborazione e lo sviluppo del Sé
Senza il riconoscimento reciproco non è possibile il linguaggio, la negoziazione dei significati, lo scambio di interpretazioni; non è, cioè, possibile produrre segni comunicabili, capaci di rendere riconoscibili le intenzioni sottese alle azioni. Le relazioni interpersonali più adeguate e funzionali al sano sviluppo dell’essere umano sono quelle che creano momenti di corrispondenza, che hanno cioè carattere di “reciprocità”. 

Il segno della maturità umana è la capacità di amare, di autotrascendersi verso un’altra persona, facendo ad essa dono di se stesso. Questa capacità si sviluppa meglio in una matrice relazionale di reciprocità. Dove due persone si autotrascendono a vicenda, si crea «uno spazio nuovo», nel quale l’uno fa essere l’altro, afferma massimamente se stesso quando afferma l’altro. La valenza psicologica di questo particolare tipo di relazione (che è appunto l’amore reciproco) si manifesta non solo nel fatto che, amando, “riconosco” l’altro, accolgo sino in fondo la sua “diversità”, mi apro alla “differenza” di cui egli è portatore, ma soprattutto nel fatto, inedito e straordinario, che amando l’altro, lo sperimento e lo scopro come colui che “mi fa essere”.

martedì 28 maggio 2013

La noia



A me pare che la noia sia della natura dell'aria:
la quale riempie tutti gli spazi interposti alle altre cose materiali
e tutti i vani contenuti in ciascuna di loro;
e donde il corpo si parte, e l'altro non gli sottentra, 
quivi ella succede immediatamente.

Così tutti gli intervalli della vita umana frapposti ai piaceri ed ai dispiaceri,
sono occupati dalla noia...".
(T. Tasso)


La noia è uno stato d’animo penoso. 

E' l'assenza di affettività e di mistero.

E’ vita al rallentatore senza interesse,
perché non emerge nulla che affascina e attira.

E’ la totale insoddisfazione del compiuto
e l’inerzia del movimento senza direzione.

E’ la stagnazione del desiderio e l’assenza di fede nello sforzo.


La noia profonda che, come nebbia silenziosa, 
si raccoglie negli abissi del nostro essere,
accomuna uomini e cose, 
noi stessi con tutto ciò che rivela l'esistente nella sua totalità”
(Heidegger)



La noia è preziosa perché in essa incuba una metamorfosi.

L'annoiamento è disagio in cerca di un'esito,
che spinge a cerare un mezzo più solido per uscirne.



"Quando sono stanco, vuoto e la noia mi opprime..
guardo i miei quadri....
Silenzio.
Poi penso ad una nuova opera".

MAX LOY

Vagabondaggi


Guardare il fiume fatto di tempo e di acqua
e ricordare che il tempo è un altro fiume.
Saper che noi ci perdiamo come il fiume
e che i volti passano come l'acqua.

Sentire che la veglia è un altro sogno
che sogna di non sognare e che la morte
di ogni notte, si chiama sogno.


Vedere nel giorno e nell'anno un simbolo
dei giorni dell'uomo e dei suoi anni.
Convertire l'oltraggio degli anni
in una musica, una voce e un simbolo.


Vedere nella morte il sogno, nel tramonto
un triste oro, tale è la poesia
che è immortale e povera. La poesia
torna come l'alba e il tramonto.


Talora nel crepuscolo un volto
ci guarda dal fondo di uno specchio:
l'arte deve essere come questo specchio
che ci rivela il nostro proprio volto.


Narrano che Ulisse, sazio di prodigi,
pianse d'amore scorgendo la sua Itaca
verde e umile. L'arte è questa Itaca
di verde eternità, non di prodigi.


 Ed è pure come il fiume senza fine
che scorre e rimane, cristallo di uno stesso
Eraclito incostante, che è lo stesso
ed è altro, come il fiume senza fine.


Poesia "Arte poetica" di Jorges Luis Borges


sabato 25 maggio 2013

La disciplina e l'arte


L’idea di disciplina dentro un quadro di vita artistica non è immediatamente associata alla regola. L’idea di disciplina è legata al discepolato (discepolato vuol dire che c’è un discepolo e c’è un maestro); e questo discepolato non necessariamente dice una subordinazione ed una inclinazione di soggezione. Infatti secondo l’etimologia della parola disciplina c’è appunto la parola discepolo, discipulus in latino, e la cosa più interessante è che dentro questa parola c’è una radice straordinaria. E’ la radice dic. Questa radice è una di quelle che contemplano in sé l’idea di luminosità, di divino, il manifestare, il vedere, l’indicare. 


Dunque la disciplina prima di essere un complesso di regole è un tentativo di chiarificazione, un desiderio di semplificazione che in qualche modo aspira ad una chiarezza che ha un percorso, una pista. Per questo il discepolo si affida ad un maestro; così come il maestro ha nella propria responsabilità la chiarificazione dell’anima del discepolo.
Così avviene nell’ambito della vocazione artistica. Essa non è uno sforzo per raggiungere o conquistare qualche abilità o conoscenza. E’ invece qualcosa che appartiene all’ordine del fascino, ed il fascino è qualcosa che si avverte, si subisce. Semmai occorre una “ripulitura” dell’anima perché questo fascino sia sempre più intensamente avvertito.


A tal riguardo il rapporto che c’è tra il discepolo ed il maestro è un rapporto di grande importanza, un rapporto di rispecchiamento reciproco e di fiducia, nel quale il compimento del tragitto (il percorso, la pista individuati) va verso l’interiorità. Se il maestro è tale perchè riesce a rendere il discepolo simile a sé, lo deve portare alla propria medesima profondità. E’ un atteggiamento di introspezione. Il maestro prepara la strada per poter far emergere quella velata maestria che ha intuito essere  nel discepolo. Ed il discepolo deve sentire l’omogeneità di chiamata rispetto al maestro.
Se si pensa alla disciplina come ad una regola, ad un ritmo, dimenticando il “materiale” di questo ritmo, si trascura la profondità dell’idea di disciplina come chiarificazione interiore. La disciplina quindi non va intesa soprattutto come regola, ma come ritmo vitale, vitalità.  
E’ significativo, a tal proposito, che quando si conosce un grande maestro la riconoscenza è il sentirsi partecipi della medesima maestria trasmessa “per contagio” , attraverso il suo metodo, la sua disciplina.
Questo è poi il senso che si deve avere quando si parla di disciplina nell’ambito artistico. La disciplina non è un complesso di regole rispetto alle quali bisogna obbedire; ma viceversa è il “contagio” del fascino dello spirito, entrare nel ritmo vitale che permette la chiarificazione interiore.  


Per contro, l’opposto della disciplina si realizza quando si confonde la regola con il fine. Quando si celebra la regola, anziché passare attraverso la regola per raggiungere il fine. La regola deve essere sempre in funzione del fine. Un esempio: l’artista studia e quindi si applica con disciplina per maturare e rendere vitale la propria comprensione; ma se studiasse unicamente per essere riconosciuto abile, celebrerebbe la regola, e questo sarebbe davvero una disfatta! 

L’idea del compimento 
è quella che serve per declinare la disciplina. 


Liberamente tratto da una conversazione di Padre Giuseppe Barzaghi.