tutte le immagini dei quadri, delle sculture ed i testi tratti dai libri dell’artista sono © di Max Loy


..."Il raggio verde è una luce visibile per brevi secondi nelle chiare serate estive, subito dopo il tramonto del sole.

In metafora è qualcos’altro di più significante, una luce interiore che va cercata lì dove ha dimora: nel silenzio.



raccolta di immagini, testi e pensieri di Max Loy ...

e di quant'altro attinente alla sua arte

.

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Studio: via Abbi Pazienza 14 – C.A.P. 51100 Pistoia cell. 3389200157 mail - info@maxloy.com

In these paintings of mine there are two different elements: colour and shape, casualty and organization, intuition and recognition. Two different types of music combining melody and a countermelody evoking the marvel of a stereophonic listening.


ACCOMODATI, SEI IL BENVENUTO !

Introduzione alla Sua arte

Esposizione virtuale delle opere di Max Loy.

“E’ così: ogni azione e ancor più manifestamente quelle dettate dal sentimento, affondano le radici in una regione misteriosa dalla quale ogni gesto assume un significato trascendente che è caratteristico della figura dell’uomo: egli trascende se stesso, così le sue azioni sono allegorie, immanenza e trascendenza insieme.

Questo è un mistero grande, l’unico.”

data inizio blog: 8 ottobre 2009


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mercoledì 8 dicembre 2010

Introduzione al video "Venire alla luce"


Venire alla luce significa "nascere" 
e nascere è uscire dal buio di un mondo chiuso e finito per entrare nella luce di un mondo infinito. 
Si rinasce innumerevoli volte, così come si muore, in attesa dell'avvento di una stella portatrice di un'abbagliante "BUONA NOTIZIA"...
è nato il SALVATORE. 


L’arte ha una particolare modalità di apprendimento, conoscenza e comunicazione: elabora e restituisce i concetti per immagini, immagini che, dentro significati comunemente condivisi, nascondono sensi e corrispondenze che affacciano su invisibili mondi di sapere.
Ecco che allora è importante, anche per l’interpretazione della piccola opera “venire alla luce”, scandagliare i dettagli della regia predisposti a sciogliere gli infiniti nodi che, custodendo le partecipazioni più intime con un linguaggio criptato, fanno muro alla mera curiosità ma, ad ogni passaggio stretto, forniscono chiavi a chi si lascia condurre per mano.


La scena si apre con un paesaggio naturale, invernale, umido e silente. 
Il silenzio però non ispira quiete. 

La vita, il tempo della luce è lontano. L’immagine è sospesa, si respira l’inquieta attesa dell’insondabile.

In lontananza rompe il silenzio il rumoreggiare di un temporale in arrivo.
La natura assume progressivamente la connotazione di precarietà, l’evento è percepito come qualcosa di pauroso ed incombente.

È subito chiaro che l’artista non si limita a descrivere uno spettacolo naturale.

Tanti indizi ci dicono che egli sta piuttosto comunicando uno stato d'animo tormentato. Il temporale è simbolo di tensioni inconsce di analogo movimento e drammaticità.
Esprime  angoscia per un senso di fragilità di fronte al pericolo. 
Evoca un desiderio di rifugio. 
E’ singolare che fra le diverse simbologie sia stata utilizzata quella del temporale. Il significato del termine infatti rimanda alla vera natura della minaccia avvertita: l’instabilità cosmica. Anche la luce della luna non sembra rasserenare l’atmosfera. Ed anzi la sua insolita grandezza e vicinanza rimanda a pensieri ancestrali magici ed inquietanti. Pagani. Illusori. Ammaliatori.



La Chiesa: la dimensione della meditazione.


Di fronte alla consapevolezza della necessità di “correre al riparo”, di trovare salvezza, ecco che lentamente compaiono le possenti mura di una chiesa.
Tale immagine però non viene percepita come un sollievo, come luogo di liberazione dalla paura dell’indefinito e pericoloso mondo esterno, ma come passaggio obbligato di solitudine, silenzio ed introspezione.
Viene sentito come percorso iniziatico: superamento della prova del buio, della solitudine, vaglio della verità, contemplazione della morte per raggiungere la conoscenza dei misteri della vita.
Il superamento delle prove saranno prologo al cambiamento con l'ascensione al livello successivo di conoscenza.
- Alla morte seguirà rinascita, alla fine un inizio -

Lo shock del buio.

Oscurità, solitudine claustrale , sofferenza e smarrimento.   
Assenza di tempo. Profondità, immersione nel vuoto.
Emersione del sentire di fondo, la domanda eterna dell’esserci: è il totalizzante quesito indotto dallo shock del buio.
E’ l’enigma. Inquietante. Assordante.

La prima immagine che emerge dall’oscurità è la statua di un leone sormontato da una colonna. Nell’iconografia cristiana il leone rappresenta il coraggio, la forza e la regalità. Mentre la colonna ha significato di collegamento fra terra e cielo, emula dell'Albero della Vita. Sono le virtù necessarie al percorso di morte e rinascita per il ricongiungimento della materia allo spirito.

Spiragli di luce ricordano che esiste una dimensione più ampia, di chiarezza e verità alle quale si è chiamati e invitano alla dolorosa perseveranza.
Rammentano altresì la temporaneità del buio.
Il buio simbolo di oscurità primordiale, del non-manifesto, del vuoto, di tenebra e morte, vergogna, oblio, disperazione, distruzione, corruzione, dolore, ignoranza, rappresenta anche il Tempo, duro, spietato e irrazionale.
Il nero è il colore delle origini, degli inizi, degli occultamenti nella loro fase germinale, precedente l’esplosione luminosa della nascita.
Il nero rimanda alla materia.

Ma sono l’oscurità e la morte, come ci hanno istruito i miti, le sole porte d’accesso alla conoscenza: scendere nel regno dei morti per scoprire il proprio legame con gli dèi.

Il mondo dei morti spiega il mondo dei vivi; lì può giungere solo l’iniziato ai misteri, colui che sa ciò che chi rifugge la morte ignora.
L’oscurità del significato della vita, l’immanenza del mistero che si cela dietro l’apparenza muove al viaggio.
L’inquietudine dell’uomo attraversa errabonda la quiete immota e silente che pervade, permea e informa tutta la sua esistenza.
Il silenzio è commento all’emarginazione dell'uomo, che vaga come esule.
Ma “L'oscurità profonda" ha anche un significato arcaico, di quando la cultura e la vita erano fortemente scandite dai ritmi di natura. Un buio che favorisce il riposo della terra e che coinvolge lo spirito degli uomini per una rigenerazione.
La notte può' in realtà celare un grande potere: talvolta solo l'oscurità riesce a costringerci a guardare in faccia i nostri fantasmi, a riconsiderare le nostre credenze, a reindirizzare i nostri progetti. Solo un buio profondo, non distraente, permette il raccoglimento e una profonda introspezione.


Nel video, a stemperare il nero opprimente di questa oscurità intercedono di tanto in tanto deboli fiammelle di candele votive come coralità di anime, presenze affratellanti, simboli di luce, del connubio tra spirito e materia, del sacrificio e della penitenza (la fiamma che consuma la cera).
Luce fioca, di raccoglimento. Crogiolo dell’anima che ansima affaticata dalla scansione ritmica e inesorabile del tempo.
Un tempo lineare, laico che scorre e non torna. Che delimita la nostra vita ad una continua successione di eventi. Che stabilisce una misura definita al nostro agire e che non commemora, non celebra, non risorge.

Niente nell'universo intero può resistere al tempo. Tutto ne viene travolto, tutto è condannato a scomparire o a mutare. Anche lo spirito, come la materia, è chiamato a trasformarsi, senza mai poter raggiungere la permanenza. Per questo l'uomo, senza la fede, è costretto ad avanzare in solitudine, senza alcun appoggio stabile, fino a quando non termina il tempo concessogli.
Quindi la morte, il non essere più.

In questo breve e denso racconto è manifesta la forte sottolineatura delle premesse.
Questo vagare nel buio, oltrepassare soglie, percorrere corridoi in spazi che si restringono fino alla claustrofobica dimensione, dura moltissimo, genera disagio in chi guarda.
Ma è il contrappeso necessario, la rincorsa, la contrazione portata al limite che prelude al salto: la strategia più diretta per dare enfasi ad un nuovo capitolo.
Davanti al non senso della morte non è possibile non domandare “perché”!

Toccato il fondo, l’istinto di sopravvivenza si aggrappa all’irrinunciabile bisogno di vivere e l’esperienza del limite si appella alla benevolenza onnipotente di un Dio, lo spirito torna vigile, si pone in attesa. 

 


L’anelito alla luce scruta il cielo in attesa di un segno, si solleva dalle umane vicende, domanda alle stelle e dalle stelle media speranza e nuova consapevolezza: l’umanità ritrova identità, somiglianza, appartenenza. 

Gli uomini si scoprono fratelli in un unico universo, pellegrini in cerca di certezze, di verità, di luce. 


Nella Storia (e in questa storia) è quasi alba.



E il segno viene ... nell’ora canonica, guida e illumina, nell’oscurità già carica di stelle, la strada verso l’evento prodigioso. 


 È la maturità del tempo, l’ora fissata ab aeterno.


Il Presepio

Case, abitazioni, focolari. Tepore di un abbraccio, gioia di un’accoglienza. Quotidianità consapevole del tesoro che contiene. Gesti semplici, cordialità. Vicinato, lavori umili. Umanità.
La rivelazione, la verità del Natale è tra noi. 

La salvezza, la luce è giunta sulla terra. 




L’Immenso, l’Insondabile, il Mistero, si è manifestato in mezzo agli uomini in semplicità e  amore, portatore di gioia, futuro e salvezza da ogni male.


È il trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo, della vita sulla morte.

Davanti a questo incommensurabile mistero tutta la natura rigenera un nuovo ciclo.
Il cielo schiarisce e introduce il giorno. 


La luce si diffonde e giunge alla massima espansione. 



L’inverno cede all’estate, il mare moltiplica il riverbero, lo sguardo, perso in lontananze azzurre, contempla la comunione della terra col cielo all’orizzonte, lo spirito rinato si fonde con gli elementi in un’immensità benevola ed accogliente.

Solitudine ora comunicativa, foriera d’incontri.

Innocenza d’origine.


Pace.

Delizia di piccoli gesti noti. Braccia amorevoli, vesti delicatamente sospinte. 


Ritorno all’ infanzia. 




Giochi e risa







Tempo religioso che fluisce.
Abbandono fiducioso nel quotidiano.
Futuro.
Presente: essere nella luce, finalmente.










martedì 7 dicembre 2010

Deflagrazione


Ammasso confuso di elementi
Irrompono vortici di tinte
come esplosione
quasi soffocata
dai tratti
che impediscono la deflagrazione.

Alberi giganteschi
protendono le braccia
filtrano chiazze di luce
Macerie
detriti
relitti
di enormi tronchi
contorti e squarciati
solcati da ferite nere.

Scaglie roventi
brandelli di rossi e di cobalti
figure ritte sotto raggi irrompenti
arancioni asciutti e secchi pennellate scure
cupi contorni
impalcature d’angoscia.

Crepitio di arbusti
al fuoco
case arse
flusso radioso
astratto sfolgorante.

Testo poetico di Mariella Murgia

Recensioni da repertorio: malinconiche cromie


Max Loy è tra i pochi artisti che non affida a fumisterie il suo messaggio poetico. Egli infatti, riciclando le emozioni che gli pervengono dal mondo esterno, conoscendo lo sgomento derivante all’artista dai gusti della società: degradazione della natura, perversione dell’umano, violenza folle e cruenta, si è trovato di fronte ad un’alternativa classica quanto mai stressante: fuga verso la sfera della “non oggettività”, verso il fascinoso mondo dell’astrazione, dove segni e cromie sono deputati ad aristocratizzare il linguaggio così da renderlo tanto elevato quanto estraniante per erigerlo a difesa della propria incolumità psichica; accettazione della realtà tragica del nostro tempo e dei segnali che ne identificano il suo processo costruttivo da sottolineare con una pittura che non può essere approssimativa perchè deve cogliere il massimo delle adesioni onde raggiungere i fini denunciatori prefissi.


Di fronte a tale alternativa, quel sottofondo di estrema serietà che sostanzia la sua personalità suggerisce a Max Loy di muoversi nell’ambito del realismo, cioè di una pittura detta declamata, possibile a patto di un affinamento dei mezzi espressivi, marcata dalla esaltazione della linea chiusa, dalla propensione per la figura umana intesa come la più idonea a farsi carico di un racconto veristico e, come tale, il più ampliamente comprensibile.


Max Loy tuttavia, non getta alle ortiche le sue esperienze astratte, non si concede all’iperrealismo statunitense che esibisce esiti da Polaroid con assoluto agnosticismo, non rinuncia ad inquinare il realismo delle sue opere, simili a scenografie, con elementi di un simbolismo carico di tensione morale, di sotterranee vene metafisiche. Alludo alla sfera di cristallo che  - nella riluttante spiegazione di Loy – identifica lo spirito dell’artista teso alla purezza, alla trasparenza, alla spiritualità; alludo alla piuma ondivaga, che rappresenta la seduzione dei sogni, alla compresenza di animali rutilanti, perfetti nella loro vanità, all’esplodere delle cromie allertate contro le cadute attentive del fruitore, all’aprirsi dei cieli che solcati da nubi, in uno sprazzo di solarità fa da polo di scarico per l’eccesso di tensione.


In questo periodo assistiamo ad un nuovo balzo in avanti della narrativa di Max Loy  che ha arricchito il suo bagaglio tecnico di antichi segreti (quale la velatura) e che propende verso colorazioni che dai bruni (colori terragni, propri di chi possiede avidità del reale) vanno spostandosi verso gli azzurri-grigi ed i rosati che nella psicologia applicata alle cromie identificano il raggiungimento degli stadi psichici più maturi.
Per questa dolce malinconia, per una felicità forse ricevuta in dono e poi smarrita e pian piano riconquistata con faticosa e quotidiana riscoperta dell’uomo,intravedo un nuovo e più fertile periodo neo-figurativo collocarsi nell’itinerario dell’artista: un percorso il suo, volutamente non facile, ma al cui retto svolgersi molto contribuirà l’adesione dei tanti estimatori su cui Max Loy può contare.
Aberto Scotti

lunedì 6 dicembre 2010

Pensare



Amo la solitudine perché amo pensare.

E oggi mi pare che si faccia, ma non si pensi, si veda ma non si pensi; si scriva ma non si pensi. Sarà un’ubbia come un’altra; ma io ho ancora la debolezza di credere che le grandi rivoluzioni civili e artistiche, le grandi opere e le grandi vite, si preparino nella meditazione solitaria e continua, nel silenzio, nella pace.

..... è certo che alla conoscenza delle leggi dell’arte, e quindi a quelle delle leggi della vita alle quali esse s’inanellano concordi, io sono stato spinto dal flagello del dubbio doloroso che non m’ha mai dato tregua.

Giulio Salvadori

sabato 4 dicembre 2010

L'ora di cena


Ogni cosa osservata con rispetto e attenzione è interessante,
ogni persona considerata con amore è bella:
l’Amore è la chiave....
l’Amore ci manca ....

Molte cose ho visto.
Un Dio manifesto come il sole che è per noi Dio nascosto.
Sogni come anagrammi e realtà che sono allegorie.


La ragione ci guida, i sensi ci trascinano, l’inconscio preme e ci affatica. Ci sono i luoghi e le età. C’è un passato che condiziona, un presente che si impone ed un futuro che ci indirizza ... 
e ci siamo noi, tutti i giorni affaccendati, alla ricerca del pane e dell’allegria.

Molte cose ho visto.
Ma ora è sera e mi riposo,
mi dispongo alla pace con quelle serene abitudini che ci aiutano ad essere felici : una doccia calda, poi la vestaglia ed un po’ di profumo.


E’ l’ora di cena.




Tratto dal libro “Quaranta di Max Loy

lunedì 29 novembre 2010

Nel riverbero


Come da un treno in corsa dove tutto fugge via

tra vetri rotti specchi frantumati distorti e opachi


esplosione di luci

accendono riflessi colorati

nell’acqua di ghiaccio.




Testo poetico di Mariella Murgia

venerdì 26 novembre 2010

Introduzione al video "Perdersi" di Max Loy

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”
S. Quasimodo


 (cliccare con il tasto destro del mouse ed aprire in un'altra finestra -
 si tratta solo di musica che accompagna il presente testo.)

La solitudine per un artista è probabilmente una condizione in qualche modo nativa, connaturata allo stesso modo di essere artisti.
L’artista, archetipo junghiano del Fanciullo Eterno, sa, isolandosi nell’interiorità, assorto nel suo gioco con la serietà e l’allegria che appartengono ai bambini, ritrovare nel gran tesoro sepolto dell’infanzia il segreto della creatività. Quando ogni nuova sensazione, ogni esperienza agisce con innumerevoli suggestioni, incanti, emozioni.
Forse, all’inizio, il bambino vive beatamente immerso nel mondo delle proprie fantasie e dei propri pensieri, alla confluenza di sogno e veglia, di immaginazione e realtà.
Poi, mano a mano che la normatività del mondo adulto gli si fa sentire, questa magica disposizione iniziale svanisce.
Molti la perdono per sempre, scivolano nella noia e nell’appiattimento, a cui credono di sfuggire fuggendo la solitudine. Altri proprio coltivando quella solitudine, riescono a rivivere vaghi frammenti della propria infanzia, ad attingere da quel remoto passato una rinnovata ricchezza, ritrovandone la capacità narrativa fantastica. Questi è l’artista o più semplicemente chi mantiene il contatto con se stesso e con la propria vita interiore.


La vita interiore è il nucleo più intimo dell’esistenza, dove si è se stessi e si gioca con la propria immaginazione o si riflette. Così la solitudine dell’artista si popola di fantasmi: ricordi, scavo di sé, elaborazione di forme.
La solitudine è preziosa per l’artista. Non è mai un vuoto, un’assenza. Così come la stanza, lo studio, per l’artista o per lo scrittore, non è mai una prigione da cui si anela fuggire, ma il luogo della libertà e dell’appartenenza a se stessi
Infatti è’ solo ciò che è unico, ossia con una identità non intercambiabile, che non può confondersi con l’altrui. Qui si perde ogni accezione negativa e si comprende il valore più pregnante della parola solitudine.
La solitudine è qualcosa di talmente intimo e personale, che è giusto sfiorarla appena, lasciando a ognuno l’onere e il privilegio di ricercare un proprio senso, una propria misura.
La solitudine è l’esperienza di raccoglimento, necessaria per il confronto con la verità e con la responsabilità della propria esistenza.


Ma sussiste anche un’altra modalità della solitudine, quella spesso soffocante in cui l’odierna società istupidita dalle merci confina gli artisti. Essa è il prodotto di una doppia strategia dagli esiti ugualmente perversi. Da una parte all’artista (nella tradizione fasulla di un mito romantico) si riconoscono le sante stigmate del diverso, come di colui che non può mai stare dentro le regole senza disordinarle, in nome e per conto del proprio genio ineducabile. Nel contempo si richiede al medesimo artista di dismettere ogni finalità esteticamente e moralmente perturbante, e di ricreare i sensi intorpiditi di torme di cultori ridotti al rango plebeo di turisti.


Nella solitudine dell’artista – così intesa - agiscono meccanismi di esclusione e sentimenti di impotenza. Sono sempre gli altri a decidere per lui (il critico d’arte, il gallerista, il mercante, il politico) e a stabilirne la fortuna o la morte (culturale e civile, s’intende).
Bisogna avere molta fiducia in se stessi per proseguire il proprio cammino senza deprimersi, senza cercare il conforto di sentirsi parte di una consorteria. Sono pochi quelli che riescono a bastare a se stessi. E a tenersi in disparte.


Ecco che allora le domande sull'essere e sull'esistere sono avvertite pressantemente e poste come fondamentali nel momento in cui l'io è in crisi rispetto al vivere e all'"essere nel mondo", e si chiede la ragione del proprio esistere come sua parte e del suo rapporto con esso. L'individuo, percependosi come ente particolare, ovvero unico fra tutti gli enti, si interroga sul senso della parola essere, ma fallisce la risposta.
Oggi è ancora necessaria l’arte, in questo mondo distratto e consumista? Oggi l’arte è ancora capace di comunicare, nell’era tecnologica? Oggi interessa a qualcuno il messaggio dell’artista? L’arte è ancora sinonimo di libertà? Ma l’umanità è veramente in cerca della libertà, della verità?
Queste domande, ed altre ancora restano degli inquietanti enigmi irrisolti ed irrisolvibili. Lo spettro dell’entropia aleggia e la confusione si genera.
Perdita dell'orientamento, alterazione della coscienza, disturbi dell'attenzione, alterazioni del ragionamento, perdita della memoria, sbalzi d'umore ecc...
Ossia un particolare stato psicologico in cui non si riesce ad interpretare (ovvero organizzare in percezioni coerenti) le sensazioni, le quali producono impulsi contraddittori.


In questo “caos” risulta un’aggravante il fattore “TEMPO”.
La questione del tempo è davvero di cruciale importanza. La funzione del tempo è quella di favorire la progressiva autoconsapevolezza, che è poi la coscienza della propria umanità. Ma non significa affatto che lo scorrere del tempo sia di per sé garanzia di un approfondimento qualitativo dell'autoconsapevolezza umana.  Anzi, proprio lo scorrere del tempo è di per sé indice di indeterminatezza ontologica e che, in tal senso, la fine del tempo è una necessità intrinseca alla natura umana, che ad un certo punto ha bisogno di rendersi conto di quali sono le caratteristiche fondamentali, assolutamente irrinunciabili della propria umanità.
Ogni cosa che impedisce all'uomo di essere quello che è, ogni cosa che lo ostacola in questo cammino, pone dei ritardi che vanno poi recuperati. Il tempo scorre a prescindere dall'autoconsapevolezza umana, ma non scorre invano, per nessun essere umano della terra. Il tempo ha senso se può essere riempito di significato.

«“Si passa la vita a rimpiangere ciò che si ha avuto fretta di perdere, e, non avendo imparato nulla dal passato, noi non cessiamo di sperare che l’avvenire ricominci”

ALLEGRIA  DI  NAUFRAGI

E subito riprende
Il viaggio
Come
Dopo il naufragio
Un superstite
Lupo di mare.

di G. Ungaretti


La consapevolezza dello scorrere del tempo crea la frammentazione dell’animo. La frammentazione che questo apporta tra la percezione dell’attimo presente e il ricordo del tempo passato. In quanto l’attimo presente è come se non esistesse, in quanto appena lo percepiamo è già passato. E’ fortissima la percezione della labilità e precarietà della vita umana, continuamente incalzata dal sempre più veloce avvicinarsi della morte, a cui porta lo scorrere inesorabile del tempo.


L’unica forza di coesione, centripeta; la luce che rischiara la notte; la brezza leggera che accarezza e dipana la nebbia è: l’amore e la contemplazione della bellezza.

“Perché è la contemplazione che preserva, in seno alla comunità degli uomini, la verità che è al contempo priva di utilità e parametro di ogni possibile utilità; così è la contemplazione che mantiene il vero fine in vista, dando significato a ogni atto pratico della vita"

La contemplazione a volte si sperimenta come un fugace intuito che illumina l'anima che in un momento di grazia può elevarsi fino a un saggio di visione beatifica della divina essenza.
L’esperienza di Dio è più facilmente percepibile nelle Sue opere, perciò nel creato .... nella propria donna, nella compagna di viaggio. Ecco che lei viene considerata il simbolo e l’emblema del vero, del buono e del bello.


Solo attraverso la sua presenza e per la sua essenza si orienta il  veliero in secca, si gonfiano le vele per un ritorno in porto. La donna, la fonte della vita, l’amante, l’innocente ed eterna bambina, la compagna di giochi e di sogni.
Speranza e accoglienza, futuro e ricordo, l’arcobaleno dell’alleanza....
In lei si manifesta il paradiso perduto... e si perpetua trasfigurato nelle diverse stagioni... Lei, traghettatrice instancabile del mondo reale, caritatevole dama, burlevole cortigiana.... Lei, musa ispiratrice .... lei, libertà e vita.



Ora che il tempo passa è ancora più necessaria la sua discreta presenza e tanto più coinvolge quanto più se ne avverte l’evanescenza...  E’ tempo di rettifiche, di limature, di dettagli ....
Ma fintanto che c’è, sarà la stella dei naviganti ..... il muro che attutisce i rumori del mondo.... il progetto, la relazione ..... la fine sarà lontana ..... e allora ....

naufragar m’è dolce in questo mare.